Siseroshi Ristorante Giapponese – Scarpizzolo (BS)

Circa otto mesi fa, su questi schermi, avevo raccontato la mia prima esperienza con un ristorante giapponese in versione omakase.

All’epoca, grazie all’indiscussa maestria dello Chef giapponese e alle eccellenti materie prime, ero rimasto molto stregato dalla cena anche se, certamente complice la collocazione meneghina, per certi versi, la cena stessa era risultata essere più uno spettacolo che un affaccio reale sulla cucina giapponese, tant’è che il tutto si era risolto, pressoché esclusivamente, in una serie di ottimi nigiri.

Ecco, se ripenso alla mia cena da Siseroshi, posso riassumere il paragone circa l’esperienza tra i due omakase con la frase “la differenza tra spettacolo e cucina“.

Per carità, l’omakase, per forza, porta con sé una connotazione di spettacolo: d’altra parte, lo Chef prepara i piatti davanti ai commensali e interagisce con loro, ma, in questo caso, ciò che ha parlato è stata la cucina giapponese e, in particolare, la rivisitazione, sempre in stampo giapponese, di piatti tipici; non dimentichiamoci che anche in Italia esistono tante versioni di ragù alla bolognese quanti sono gli abitanti di Bologna e provincia.

Siamo da qualche parte nella provincia bresciana, a metà strada tra Manerbio e Orzinuovi, in un posto in cui non ti aspetteresti mai di trovare un angolo di Giappone, separato dall’Italia, da un noren che campeggia sulla porta d’ingresso della locanda, in perfetto stile nipponico.

Entrando nella sala di sinistra si incontra subito il bancone dell’omakase, pronto per accogliere al massimo otto commensali, dietro al quale ti aspetta Vitaly Dovbenko, di origini  ucraine, formatosi al fianco di diversi chef giapponesi in Italia come Hitoschi Toshisa, Naoyuki Kuwana e Takashi Kido.

Ovviamente il menù, per quanto concettualmente improntato alla stagionalità, è rigorosamente alla cieca anche perché risulta influenzato moltissimo da quello che offre il mercato del pesce offre quotidianamente.

La cena è stata senza dubbio di altissimo livello e non ha deluso le mie aspettative anche se ho trovato tutti i piatti molto comfort, primo fra tutti l’abalone che, invece, nei miei pensieri, quando me l’hanno descritto con la sua salsa di fegato, pensavo mi prendesse a schiaffi: mi aspettavo un sapore travolgente e, invece, era molto delicato.
Con la scusa che avevo accanto il patron Luca Imberti, mi sono confrontato con lui sul sapore di quella portata e, effettivamente, mi ha confessato che avevano alleggerito parecchio la salsa di fegato per renderlo fruibile da tutti.
Mi ha rassicurato che in futuro, appena saranno riusciti a far attecchire di più la cultura nipponica inizieranno a cercare a spingere di più… ci sta e, a questo punto, sono curioso di tornare.

Orgasmico, per un amante del foie gras come il sottoscritto, l’ankimo, ossia il fegato di rana pescatrice lavorato, appunto, a mo’ di fegato grasso: dolce e cremoso con un delicatissimo sentore di mare. A pieno diritto rientra tra i prodotti preziosi e rari della cucina nipponica (chinmi).

Anche l’anguilla era qualcosa di veramente eccezionale anche se avrei preferito le foglie di kinome (pepe del Sichuan) non in rametto, ma sgranate per poterle abbinare meglio con i pezzi di anguilla senza dover impazzire con le bacchette con il rischio di sballare le proporzioni.

Un pochino sotto tono, invece, l’ostrica al vapore con le alghe mozuku: tra la cottura al vapore e la scorza di yuzu, l’ostrica era un pochino in secondo piano. Spettacolari invece le alghe.

Volendo fare un appunto, forse sarebbe carino dedicare qualche istante per spiegare ai commensali, soprattutto quelli che si approcciano per la prima volta alla cucina giapponese, gli usi e i costumi del Giappone.
Faccio un esempio: dopo aver finito di mangiare il kinmeadi sashimi, per finire il brodo dashi che era rimasto nella ciotola, ho afferrato la stessa con due mani e ho bevuto direttamente da lì, senza usare il cucchiaio che mi avevano portato.
Quando il Patron ha portato via la ciotola, mi ha ringraziato per aver bevuto il brodo secondo l’usanza tradizionale giapponese.
Ecco io lo sapevo e l’ho fatto, ma gli altri ospiti non avevano la minima idea di quale fosse, appunto, l’usanza.
Mi sono permesso, quindi, di spiegarlo io al mio vicino di bancone il quale mi ha ringraziato e, anche lui, ha bevuto direttamente dalla ciotola.

Lo confesso, non ho una grandissima esperienza di cucina giapponese, ma qualcosa, qui e là, ho assaggiato.
Ad oggi, questa locanda entra a pieno diritto al primo posto dei miei locali di cucina nipponica.

Interessante la carta dei saké anche se il costo a bicchiere risulta essere un pochino sproporzionato rispetto al costo alla bottiglia

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