V.I.T.E. Restaurant * – Villorba ( TV )

Sottotitolo: quando un pranzo rasenta il sequestro di persona…

Ok, ora facciamo un passo indietro e inquadriamo dove siamo.

Il ristorante è giovanissimo (sotto tutti i punti di vista), fresco fresco di stella Michelin nella guida 2024 e ha una location unica: è, infatti, all’interno di concept store di design, dove ogni componente d’arredo è in vendita.

Passiamo al pranzo, ma contrariamente a quanto accade di solito su queste pagine, mi soffermerò pressoché esclusivamente a parlare delle sue tempistiche perché questo si è rivelato il più fulgido esempio di come un “servizio” (in senso lato) sballato possa distruggere un pasto.
Con il termine “servizio” preciso subito che non mi riferisco al personale di sala, ma alla tempistica con cui è stata gestita l’uscita delle portate.

Arrivo al ristorante alle ore 12.22 e mi fanno accomodare al tavolo; sei minuti dopo, mi arriva un piccolo cocktail analcolico (molto buono).

Alle 12.37 ho già scelto cosa bere e ho già comunicato che affronterò il “I’M A PICKLE, MORTY!”, ossia un «menù 10 portate sperimentale».

Alle 12.48 arrivano gli amuse-bouche e 11 minuti dopo è il momento della prima portata.

Il pranzo scorre tranquillo, con piatti tutto sommato più che interessanti, sino al momento della quinta portata, dove il tempo d’attesa, rispetto al piatto immediatamente prima, si attesta a 35 minuti.

La sesta e settima portata rientrano in carreggiata, ma con la settima si toccano i 31 minuti, mentre con l’ottava il tempo si attesta a una più modesta attesa di 25.

Nel finale il tempo di servizio acquisisce nuovamente tempi normali, ma nonostante ciò il caffè mi viene servito alle 16.05, ossia dopo 3 ore e 37 minuti dalla prima portata.
Il conto sono andato a prendermelo direttamente alla cassa…

Preciso subito che una coppia, seduta a un tavolo di fronte al mio, a un certo punto, ha manifestato la volontà di andarsene in quanto sfiancata dai tempi di attesa eterni.
Ciò che mi ha fatto sorridere (in un momento in cui stavo meditando di scappare) è stata la risposta data loro dal cameriere: «per fare le cose fatte bene ci vuole tempo, è tutto un lavoro di pinzette».

In realtà, la risposta più plausibile, è che hanno sbagliato clamorosamente i tempi di servizio soprattutto nel momento in cui il ristorante ha iniziato a riempirsi e i clienti hanno iniziato a ordinare.
Secondo me, ad aggravare la situazione interviene anche il fatto che la scelta data al cliente sia, oggettivamente, molto ampia con tre menù degustazioni e la possibilità di ordinare anche alla carta.
Tra l’altro, il menù che ho fatto io, ossia il 10 portate, ha piatti che non sono nel menù…

Purtroppo, in un contesto come quello appena delineato, la mia attenzione per ciò che avevo nel piatto è andata scemando ad ogni minuto che passava: dopo un’ora e mezza e con la consapevolezza di avere ancora tante portate da affrontare, il mio unico pensiero era rivolto alla voglia di scappare via.

È stato un peccato perché alcuni piatti che ho assaggiato erano veramente molto interessanti, però, come detto, dopo un po’ mi è passata tutta la voglia che avevo in corpo.

Nonostante questo meritano sicuramente una menzione (e finiranno nei miei 10 piatti del 2023) le penne alla lambic.

Sono delle penne cotte nella framboises, ossia una lambic invecchiata con lamponi freschi per 3-6 mesi.
Al di là del colore rosso spento che la pasta prende per via della modalità di cottura, la consistenza diventa quasi (piacevolmente) callosa acquisendo, nel contempo, una bellissima nota di acidità, perfetta per contrastare la grassezza dell’anguilla affumicata. Equilibrio semplicemente prefetto.
Nonostante la sensazione di disagio che mi pervadeva, ne avrei mangiato un secchio.

Poco convincente, invece, il piccione con curry verde di granchio blu.
Piccione cotto da manuale, ma il granchio blu (notoriamente delicatissimo) risultava asfaltato dal curry verde.

Purtroppo, per quanto occorso, la mia esperienza al V.I.T.E. Restaurant è stata certamente negativa, anche se, come detto, non per colpa della cucina nel suo senso gastronomico.
Onestamente mi dispiace perché c’erano alcune cosette, qui e là che sembravano molto interessanti.
Per questo motivo, confidando che si tratti di una clamorosa botta di sfiga, penso proprio che darò una seconda occasione.

Buonissimo il caffè.

Simpatico e piacevole il confronto con la Sommelier.


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