Quattro Passi *** – Nerano (NA)

A mio avviso, il 2018 è stato l’ultimo anno in cui la Guida Michelin, per lo meno in Italia, abbia attribuito le tre stelle a uno Chef che portasse con sé una precisa identità gastronomica, non appiattita, su uno stile comfort-francese e, ovviamente, mi riferisco a Mauro Uliassi: è evidente, infatti, che le tre stelle a Niederkofler, tranne che per i soliti rosiconi, altro non siano che una conferma di quelle che aveva precedentemente, come già avvenuto in altri paesi (ad esempio Maeemo).

Con questo non voglio dire, sempre dal mio punto di vista, che gli Chef successivi non avessero una loro identità, spesso molto geograficamente orientata, ma certamente non hanno brillato per la volontà di andare fuori da un percorso gastronomico assolutamente dritto, privo della benché minima curva o variazione.

Il nuovo ristorante tre stelle, ossia il Quattro Passi di Nerano, rientra anch’esso in questo filone: una cucina, certamente fatta bene, ma votata ad accontentare il classico Cliente Michelin (di cui abbiamo già parlato), che, tuttavia, in un viaggiatore gourmet, non è destinata a lasciare un grande segno e, men che meno, a giustificare il c.d. “vale il viaggio”.

Emblematica, sull’impostazione mentale della cucina del ristorante, la divertente gaffe di un Cameriere che, intento a spiegarmi cosa fosse un chawanmushi, ha testualmente detto «chissà cosa sarebbe successo se invece di essere colonizzati dalla cucina francese, fossimo stati colonizzati dalla cucina giapponese».
Immaginate l’espressione a punto di domanda che deve aver assunto il mio viso…

Tutti i piatti del menù erano belli rotondi, piacioni, attenti al millimetro a non perturbare minimamente il delicato palato del Cliente Michelin: anche il lardo (in realtà fatto utilizzando seppie e spezie), per quanto dal sapore veramente molto simile a quello del relativo salume, senza però far dimenticare quello della seppia, era, nel complesso, molto delicato e privo della tipica sapidità derivante dalla salagione.

Forse l’unico piatto che un pochino si discostava da tale rincorsa al “delicato”, la cui apoteosi si è toccata con il “risotto ai germogli di piselli novelli, il ciclo vitale dell’ortaggio”, erano le “mezzemaniche glassate al burro di ricciola, pinoli e capperi”: qui, infatti, la lavorazione del burro con la ricciola conferiva un gusto di pesce leggermente e piacevolmente pungente.

Le “linguine alla Nerano”, piatto che si poteva aggiungere come extra al menù degustazione (al momento del conto ho appreso che mi è stato offerto), rimanendo in zona, sono riassumibili con il titolo del film “Pensavo fosse amore… invece era un calesse” risultando un piatto assolutamente nella norma e per nulla migliore rispetto a quelle mangiate altrove, anzi, erano pure poco mantecate e, quindi, apparivano un pochino “slavate”.

Al di là del lardo, un piatto che ricordo con piacere è il dessert, ossia, riso al latte allo zafferano, cremoso e pralinato di pistacchio, chiaramente dedicato al risotto, oro e zafferano di Gualtiero Marchesi: una dolcezza per nulla invadente e stucchevole che ti invogliava a cercare il boccone successivo.

Il servizio, nel suo complesso, non mi ha convinto particolarmente.
Innanzi tutto, ho dovuto ribadire più volte alla Sommelier, per praticamente tutta la cena, che gradivo che il mio champagne rimanesse fuori dalla glacette: ogni tre per due continuava a chiedermi se poteva metterla nel ghiaccio e, alla fine, ce l’ha messa lo stesso (ero tentato di alzarmi e toglierla da solo).
Per il resto, tante piccole sbavature e incompletezze nella descrizione dei piatti, tralasciando il fatto di essere convinti che il pil pil fosse una salsa francese.

Il giovane Chef tri-stellato, a fine cena, mi è parso poco avvezzo a intavolare conversazioni con i clienti che non prevedano una sua lode sperticata e si è visto quando abbiamo parlato del lardo, ossia, come sopra detto, del un finto lardo fatto utilizzando delle seppie.
Sono partito dalla premessa che il piatto era (effettivamente) ottimo e che la vicinanza di sapore rispetto al salume vero era incredibile, tuttavia, mi sono permesso di far presente che, probabilmente, un pochino di sale in più avrebbe reso quella vicinanza ancor più sorprendente.
Mi ha guardato con un’espressione semi disgustata e, dopo un paio di secondi di silenzio, mi ha risposto «è una questione di gusti»; dopo qualche altro secondo di imbarazzato silenzio, soprattutto da parte mia, se n’è andato verso altri tavoli.

Carta vini votata ad accontentare il classico Cliente Michelin che, tutto intorno a me, faceva tripudiare le solite grandi Maison di champagne, a prezzi importanti.
Ammetto che c’era anche una bella selezione di vini bianchi locali, ma anch’essi scontavano un prezzo tutt’altro che a buon mercato.

Location da urlo, nulla da dire.

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