Trattoria Contemporanea * – Lomazzo (CO)

In tanti anni col sedere appoggiato sulle sedie dei ristoranti ho cominciato a inquadrare quali possano essere i segnali della presenza di potenziale fuffa.

Alcuni dei segnali che, di solito, sono sintomatici della presenza di potenziale fuffa sono l’utilizzo dello strumento del gioco a tavola, l’esaltazione dei rituali gastronomici (pensiamo, ad esempio, a come vengono spadellati dei famosi paccheri…), lo spiegone estremo, ai limiti dell’evocazione del sacro.
La filosofia sottostante è la stessa che si trova nel gesticolare sinuoso delle mani da parte dell’illusionista: ti fa spostare l’attenzione sui movimenti perdendo così il focus su cosa stia effettivamente accadendo.

Fatta questa premessa non posso nascondere che, quando ho visto i primi post di Trattoria Contemporanea, con tettine da leccare e ciucci, il mio livello di curiosità, misto a sana diffidenza, ha raggiunto livelli apicali, anche ragione della stella ottenuta in tempi assai veloci.

Un’ora e quarantacinque minuti di macchina e mi sono ritrovato in un ex cotonificio, ristrutturato in stile industrial, contornato da tanti ragazzi (giovanissimi) e sorridenti che sono riusciti subito a mettermi a mio agio.
Mi ha ricordato molto il servizio che ho incontrato al nord: un giusto connubio tra forma e convivialità, senza manici di scopa infilati “dove non batte il sole”.

Opto ovviamente per il menù alla cieca, con l’aggiunta delle linguine ai conchigliacei e pan crusco; molto intelligente l’idea di far scegliere al cliente la possibilità se l’ultima portata sia un dessert o un assaggio di formaggi.
Io, purtroppo, ho scelto il dessert.
Il “purtroppo” non è per dire che il dessert non fosse buono, ma, nel suo complesso, l’ho trovato molto comfort e basic; forse coi formaggi sarebbe stato un pochino più interessante…
Vabbé, ho la scusa per tornare…

Dopo alcuni amuse-bouche arriva il primo piatto salato, ossia, come l’hanno definito loro, un nugget di vitello che, magia, scopro essere una bella, cremosa, cervella fritta!

Punzecchio bonariamente il cameriere sul fatto che non mi fosse stato detto che si trattava di cervella fritta e lui mi risponde che è un trucchetto che hanno dovuto adottare per evitare che quasi tutte le persone si rifiutassero di mangiarla.

Passando attraverso un cetriolo barattiere osmotizzato arrivo al mio extra, le linguine ai conchigliacei, che mi porta immediatamente allo spaghetto alle vongole che mi aveva preparato Moreno Cedroni; veramente molto buone, ne avrei mangiate un paio di forchettate in più.

Piacevoli i ditalini cotti nella birra scura, ma ciò che arriverà subito dopo si rivelerà essere il piatto della giornata, ossia la trippa alla brace al pomodoro: un bel pezzo di trippa, cotto alla brace quasi a sembrare una bruschetta, laccato al pomodoro con sopra cubettini di pomodoro, proprio a richiamare, appunto, l’idea della bruschetta.
Bella la consistenza, il sapore della trippa integro e non alterato (eccessivamente) dalla cottura alla brace, un pochino di acidità del pomodoro e la freschezza del finocchietto: confesso di averla mangiata con avidità e golosità con la bocca pervasa dal sapore della trippa, educato a modino da tutti gli altri ingredienti.

Arriva, poi, il momento tanto atteso delle famose tettine!
Questa volta, mi dicono subito di cosa si tratta, forse a causa della mia espressione quando ho visto, appunto, disegnate le celeberrime tettine pendule sul coperchio della ciotola: si tratta di mammelle di vitella fritte accompagnate da uva osmotizzata al vermut e vino bianco, katsuobushi, portulaca e maionese allo sriracha.
Tralasciando l’inusuale ingrediente che io avevo, comunque, già avuto modo di assaggiare altrove, il piatto si presenta molto piacevole e interessante, anche se non travolgente: la cottura (a cubetti e fatta sudare in padella) rende la mammella croccante fuori e morbida dentro esaltandone la sapidità; sapidità che, insieme alla grassezza, trova il suo bilanciamento nelle note affumicate del katsuobushi e vegetali dell’uva osmotizzata.
Il piccantino della maionese allo sriracha, infine, aiuta a pulire per bene il palato dalla grassezza della mammella lasciando un sentore gentilmente pungente a governare la bozza.

L’ultimo piatto salato è uno spiedino di cuore di vitello alla brace, molto buono, anch’esso servito rigorosamente alla cieca, per gli stessi motivi delle cervella di vitello.

Trattoria Contemporanea si è rivelato un bellissimo progetto di giovani che colpisce nel segno: un qualunque mercoledì di agosto a Lomazzo (CO) a pranzo ci sono trenta persone sedute a tavola, con età eterogenee.

Il menù alla cieca cela (nomen est omen) una presenza importante di frattaglie, proprio come accadeva una volta nelle trattorie, ove, spesso, appunto, si servivano anche le parti meno nobili dell’animale.
La gestione del quinto quarto è veramente pregevole perché rende i singoli tagli appetibili anche alle persone più difficili, pur senza stravolgerne completamente il gusto: se si è, infatti, avvezzi a mangiare frattaglie è facilissimo riconoscerle.
Mi ricorda un pochino lo stile di Chiara Pannozzo al Bue Nero a Verona.

Il pranzo, durato quasi due ore e mezza, è scivolato via piacevolmente con piatti sempre ben fatti e ordinati nei gusti.
Onestamente, trippa a parte, nessun piatto mi ha veramente colpito, ma tutto è stato fatto bene e, quindi, rimane un posto in cui tornare e da suggerire: se, poi, lo comparo alla banalità della maggior parte dei ristoranti monostella non c’è proprio paragone.
Per contro, l’unico piatto che, forse, mi ha convinto poco è il cetriolo barattiere osmotizzato, dressing al limone bruciato e pane fritto.

Bravi i ragazzi in sala che mi hanno accompagnato con uno spirito scanzonato, ma professionale, per tutto il pasto e che mi hanno dimostrato che, il gioco, a volte, invece che costituire una distrazione per coprire una magagna, può essere un contorno piacevole.

Degno di menzione il servizio del pane e il maritozzo finale.

Carta vini non folgorante, ma si riesce a bere in maniera ragionevole a prezzi onesti, anche se molte bottiglie erano sold out.

Visto che ci sono, con l’occasione saluto Camilla e Giorgio…

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