La finanziera

La storia della finanziera si perde nei secoli e probabilmente nessuno ne conosce la vera genesi: una lontana antesignana del piatto che conosciamo oggi, si trova in un antico testo della seconda metà del quattrocento “il libro de arte coquinaria” di Maestro Martino dove parla di un piatto “per fare un pastello de creste e ficatelli et testiculi di galli”.

L’origine del piatto, chiamato poi finanziera, è quasi sicuramente di estrazione contadina, preparato tra la primavera e l’estate, nel periodo in cui i polli venivano castrati per diventare capponi e, quindi, c’era disponibilità di creste e bargigli che della finanziera sono l’elemento più rappresentativo.

I secoli passano, ovviamente, la ricetta muta e si arriva, quindi, verso la metà dell’Ottocento, in pieno Risorgimento, nelle vie del centro di Torino.

Quella che adesso chiameremmo middle-upper class, abbigliata con giacca lunga (chiamata appunto finanziera) e tuba, si recava nei numerosi ristoranti della città per il loro disné: il piatto preferito, veloce ma nutriente, è un intingolo a base di frattaglie di pollo e vitello, la “finanziera” che prenderebbe il nome proprio dalla giacca indossata da questi personaggi.

La storia del piatto vuole che la migliore dell’epoca fosse certamente quella del Ristorante del Cambio dove Cavour era solito mangiare.

Un’altra teoria fa risalire l’origine del nome al dazio pagato ai “finanzieri” alle porte della città dai contadini che si recavano a Torino per vendere i propri polli.
Questi pagavano il tributo per avere il passaggio libero con le rigaglie dei polli che speravano di vendere ai mercati torinesi, polli anche privi delle frattaglie e probabilmente neppure apprezzate dai cittadini.

I doganieri si sarebbero ingegnati ad utilizzare i prodotti ottenuti, preparando il piatto conosciuto successivamente col nome di “finanziera”.

Questa che vedete in foto, però, è una “finanziera di mare” preparata da Claudio Gazzola all’Osteria alla Chiesa di Monfumo (TV).

Un piatto dall’impatto difficilissimo anche per un mangiatore seriale come me: fegato di merluzzo, trippa di baccalà, cervella di astice, uova di seppia, guance il tutto condito con un salsa a base di fegato di merluzzo.

Il sapore è violento come una badilata in faccia, tirata a tutta forza: l’impatto gustativo viene leggermente arrotondato (si fa per dire) grazie alle note acide della giardiniera che comunque alleggeriscono un palato seriamente provato dalla salsa al fegato di merluzzo.

Nonostante l’indubbia potenza della salsa, i sapori dei singoli ingredienti arrivano puliti, uno dopo l’altro lasciando la bocca, leggermente marina e amara, molto appagata.

Un piatto che mi ha veramente attaccato alla sedia.

Chapeau!

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