Ristorante 1978 – Roma

Di ritorno da un evento a Firenze ho deciso di allungare e di andare a mangiare al Ristorante 1978 di Valerio Braschi a Roma.

Sono onesto, sono partito abbastanza prevenuto soprattutto per via dei suoi exploit su carbonara liquida, lasagna in tubetto e pizza marinara in bustina.

Attenzione, non perché abbia osato toccare dei piatti iconici della gastronomia italica, del che non me ne cale né tanto né poco, ma per via del (verosimilmente cercato) circo mediatico legato a tali rivisitazioni.

Contrariamente alle aspettative ho trovato una cucina molto interessante e ben fatta, con piacevoli richiami, da un lato, alla tradizione casalinga (ragù della nonna Elsa) e, dall’altro, con un occhio verso l’innovazione spinta e verso l’estero.

Mi hanno impressionato molto positivamente, anche se non attaccato alla sedia, la tom yam (profumatissima zuppa thailandese), i cappelletti di patate, coniglio e tartufo nero (raro il coniglio nel fine dining) e, infine, la rana pescatrice con rubia gallega e senape rossa.

Quest’ultimo piatto merita una menzione.
Confesso di non essere un grande amante degli strafanicci tecnologici quali il sonicatore (Daniel Facen all’ A’Anteprima era un indiscusso maestro di tale aggeggio), ma grazie appunto all’uso del sonicatore, lo Chef ha ottenuto (semplificando molto) una specie di fondo con il grasso della rubia gallega che riusciva a conferire al piatto il tipico ed inconfondibile profumo del grasso che si scioglie sulla brace.

Al palato arrivava dritta l’opulenza, l’untiosità e l’aroma del grasso che, lungi dall’essere troppo invadente, unito alla soda carnosità della rana pescatrice, dava la sensazione di addentare un bel pezzo di ciccia.
Alla senape rossa il ruolo di riportare il palato ad un livello di grassezza che non sfociasse nell’eccesso.

Due note appunti: uno tecnico e uno concettuale.

Il primo è che ho trovato quasi tutti i piatti con un punto di sapidità particolarmente alto, soprattutto nell’indivia col piccione e nel coniglio che accompagnava i cappelletti.

Il secondo, ma è questione di gusti, ho trovato i dolci un pochino ruffiani rispetto al resto del pasto: partendo dalla premessa che erano molto ben fatti, dal punto di vista concettuale, soprattutto a mente di un menù che spinge parecchio sui contrasti e sui sapori netti, mi sarei aspettato una chiusura un pochino più “intraprendente”, quasi col botto.

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