Trattoria Donatelli – Canedole (MN)

Il passaggio generazionale e il declino, nemmeno poi così lento…

La visita è del mese scorso, ma per vari motivi, sul momento mi è passata la voglia di scrivere anche perché non riuscivo a dargli un taglio giusto.

Oggi avendo necessità di svagare la mente ho ripreso in mano i miei appunti ed eccomi qui.

Ciò detto, questo è un posto in cui andai a mangiare circa 6 anni fa, quando era ancora vivo il sig. Donatelli: questo ristorante mi colpì parecchio perché, nel bene e nel male, era rimasto una trattoria vecchio stile, anni ’70 con il suo bel perlinato alle pareti (io sono un grande devoto della Madonna del Perlinato).

I tratti gastronomici erano quelli di una cucina semplice del mantovano, con una particolare attenzione al pesce d’acqua dolce, dai sapori tutto sommato genuini con materia prima ragionevole, anche in rapporto al prezzo.

Sulla scorta di queste premesse, una sera che avevo voglia di mangiare rane ho preso la macchina e sono arrivato in quel di Canedole (MN).

Tralasciando il fatto che avevano tolto il perlinato dalle pareti e dato una svecchiata colorando il locale di un più confortevole bianco, il menù è rimasto sostanzialmente invariato e anche i prezzi non hanno subito rincari di notevole impatto.

Parto con uno gnocco fritto con salumi misti nostrani; purtroppo, dello gnocco fritto si sentiva molto il sapore della farina e non era cotto proprio benissimo, mentre tra i salumi nostrani (di qualità ragionevole) non ho ben capito cosa c’entrasse lo speck.

Per primo opto su un tris di risotti (rane, pesce gatto e saltarei).

Soprassedendo al fatto che al posto dei saltarei (gamberi di fiume) mi è arrivato il pessin (pesciolini d’acqua dolce), le rane erano sostanzialmente insapori, mentre il risotto con il pesce gatto aveva il suo perché, forse l’unico piatto degno di nota in tutta la cena (anche se così spoilero il resto).

Nessuna grande emozione (mi perdonerà Visintin se uso questo termine) ha trasmesso il misto fritto di pesce d’acqua dolce, ossia rane, pesce gatto, anguilla, pesciolino e saltarei.

Le rane, come poc’anzi detto, erano mediamente dure, insipide e si sentiva solo il sapore della farina utilizzata per la frittura, l’anguilla non è pervenuta (nel senso che non c’era), mentre la frittura del pesce gatto scontava parecchio l’utilizzo di un olio non propriamente recente (come appare chiaramente dal colore nella foto); i saltarei e i pesciolini erano, nel complesso, buoni.

Ciò che mi ha veramente avvilito è stato il “caffè alla fiamma”, , ossia la specialità della casa cui il sig. Franco Donatelli, avvolto nel suo cardigan, con fare degno di un ministrante sull’altare, si dedicava al rito.

Adesso il “caffè alla fiamma” (il cui sapore ricorda molto quello del caffè Borghetti), si è ridotto ad un pentolino dalla fiamma tremula, frettolosamente versato nella tazza con noncuranza.

Onestamente non so cosa mi abbia deluso di più se la cena certamente non eccelsa o il fatto che la tradizione si stia perdendo, svuotando le specialità della loro parte rituale che, per quanto non necessariamente incidano sul sapore finale del prodotto, dimostrano un’attenzione maggiore a quello che viene fatto dando la sensazione al cliente di una sua maggior centralità.

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