Trattoria daGorini * – San Pietro in Bagno (FC)

Dopo una decisione assunta in maniera tutt’altro che canonica, mi ritrovo sulla via di San Pietro in Bagno (FC) alla volta di una trattoria, con tanto di stella Michelin, di cui ho sentito parlare pressoché solo benissimo, ossia la Trattoria daGorini di Gianluca Gorini.

Questa volta, contrariamente a quanto accade di solito, non sono a tavola da solo, ma condivido il desco con Matteo Ugolotti, chef e patron della celeberrima Ambasciata di Quistello.

La prima cosa che mi ha colpito entrando nel ristorante, è che si respirava, effettivamente, l’aria di una trattoria: ospiti che vociavano in maniera morigerata e non con quel bisbiglio da santuario, personale sorridente, cortese e gioviale, per nulla ingessato, un clima giustamente rilassato e informale.

Si opta per il menù a mano libera da 9 portate (110 euro).

La partenza, oggettivamente, non è incoraggiante: la battuta di cervo, maionese al miele di tarassaco, bergamotto, aneto e caffè, infatti, risulta abbastanza sbilanciata con il sapore della carne totalmente in secondo piano, travolto dagli altri ingredienti.

Confesso di essere rimasto molto perplesso, soprattutto in ragione delle lodi che tutti mi avevano tessuto.

Leggermente dubbioso affronto il secondo antipasto ossia la lepre cotta al vino rosso, patate all’olio, ginepro e more sott’aceto.
Premesso che osservando il solo aspetto mi ricordava il piatto di un famoso chef, quando assaggio il primo cucchiaio mi sento come un gatto in tangenziale: basito, rapito e sconvolto dalla perfezione di quel piatto.
Ogni sapore era al suo posto, l’acidità delle more dava un equilibrio mirabile alla pornografica opulenza della crema di patata (affumicata), il ginepro contribuiva a smorzare con la sua nota pungente; il tutto a far da perfetto contorno a una lepre semplicemente stupenda cotta da manuale.
Nonostante la cicciosità di fondo del piatto, ogni singolo ingrediente era sempre riconoscibile in ogni singolo boccone.
Applausi a scena aperta.

Sono consapevole che dopo un piatto del genere è difficile mantenere il ritmo e, quindi, l’ottimo carciofo che è venuto a seguire, non è riuscito spuntare un giudizio che vada oltre a quello che si dà ad un compito ben eseguito.

La trippa stufata con birra bitter, cervello poché, vongole e salsa alla marinara (piatto che avevamo chiesto espressamente se disponibile) stupisce per l’inconsueto abbinamento terra/mare.
Anche in questo caso il piatto è oggettivamente perfetto sia per il ben ragionato gioco di consistenze diverse che per la completa palette di sapori, ma la sensazione che ti lascia è quella che manchi una chiusura: quel qualcosina che trasforma un ottimo piatto in un piatto memorabile.

Da questo punto in poi, il pranzo è stato un susseguirsi di piatti pressoché tutti eccezionali.

Con il risotto ai funghi e tabacco, latte di mandorla e nepetella si torna, infatti, a salire verso l’alto, ma molto alto con un piatto goloso, rotondo e morbido, ma non banale come potrebbe sembrare, in cui la mentuccia fa si che il palato sia sempre fresco ed invogliato ad affrontare il boccone successivo. Bellissima anche la masticabilità del riso.

Poiché so che il livello di attenzione medio di un fruitore del web non supera, a voler essere ottimisti, il minuto, mi limito a segnalare, per la perfezione degli equilibri e delle cottura, l’anguilla alla brace, funghi, topinambur e salsa al whisky torbato (entra a pieno titolo tra le mie migliori anguille mai mangiate) e l’agnello cotto sui carboni, battuto di pomodoro e olive affumicate, contorni all’italiana.
L’agnello consta di tre servizi: costine scottate (ma veramente scottate) sui carboni, pancia pulled e spiedino di interiore alla brace (animella, fegato e durelli).

A chiudere la parte salata del pasto arriva quello che, nell’immaginario collettivo, dovrebbe essere un pre dessert; tuttavia, al posto dei soliti triti e ritriti semi dolci più o meno aciduli o arie varie, arriva, come il Frecciarossa 1000 sulla direttissima, uno spaghetto mantecato al burro di genziana, caciotta di capra e bergamotto candito.
Il grasso del burro serve a bilanciare l’amarissimo della genziana, lasciando, tuttavia, intatto l’effetto carta vetrata sul palato, d’altra parte si deve resettare la bocca in vista dell’arrivo del dolce.
A completare l’opera di pulizia interviene, una volta terminata la pasta, l’amaro, più delicato ma non per questo meno pulente, del bergamotto leggermente addolcito dalla canditura.
In sostanza, alla fine, dopo un susseguirsi discendente di note decisamente amare, sempre accompagnate da leggero contraltare necessario a renderle comunque gradevoli, ti trovi un palato a livello “zero”.

Anche complice tale livello di palato “zero” e forse la trance agonistica creatasi, all’alba delle 15.30, si chiede un piatto da noi definito “svuota frigo”, ossia, un piatto da fare con quello che si ha in quel momento sotto mano, senza eccessive rotture di scatole.

Arriva, quindi, l’ultima chicca ossia dei ravioli ripieni di scalogno liquido, primo sale di capra e cicoria appassita.
Anche in questo caso un piccolo capolavoro di perfezione: dolce, ma non banale, sapido e amaro.
Ogni boccone è l’equilibrio assoluto con il palato che ne esce sempre assolutamente pulito nonostante l’indubbia dolcezza dello scalogno.

Non particolarmente esaltante, invece, il dessert.

Tirando le fila, devo essere onesto, il pranzo fatto daGorini è sicuramente uno dei migliori pasti che abbia fatto negli ultimi anni.

Sono stato a tavola oltre tre ore, ho mangiato molti piatti, mi sono divertito provando abbinamenti consueti ed inconsueti, mi sono alzato da tavole per nulla appesantito.

Dopo tanta, tantissima noia, soprattutto nei ristoranti mono stella, finalmente ho riprovato la sensazione di sentirmi attaccato alla sedia, cosa che non provavo da veramente tanto tempo.
Ovviamente non si può pretendere che ogni piatto sia wow, e ci può stare che un piatto non venga esattamente come lo chef l’aveva concepito (nella battuta di cervo, ad esempio, probabilmente è stato un problema di dosi), ma qui il numero di wow è stato sicuramente importante e certamente inconsueto sulla base della sola stella.

Buono, ma sotto tono il dolce e forse qualche bollicina italiana in più non avrebbe guastato (i prezzi della carta vini sono assolutamente ragionevoli).

Onestamente, più che un locale da “meritare la tappa”, mi pare sia, in tutto e per tutto, un ristorante che “merita la deviazione”.

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