Ristorante Magari Estates Hotel – Colognola ai Colli (VR)

Quando ho saputo che lo Chef del ristorante “Dubbio cucina evolutiva” di Colognola ai Colli si era trasferito all’interno del Magari Estates Hotel ho deciso che, prima o poi, sarei andato a metterci il naso e, così, in una sera di noia, a distanza di parecchi mesi, ho deciso di prenotare.

Parto dalla struttura ricettiva, nata dalla ristrutturazione di una antica casa di campagna, oggettivamente molto bella, elegantemente immersa tra le viti in una zona molto appartata della campagna di Colognola ai Colli.

Proprio il fatto di essere così appartata crea un primo, a mio avviso, spiacevole inconveniente: la strada bianca che conduce alla struttura (decantata anche sul sito web), che bucolicamente attraversa le vigne, consente il passaggio di una sola autovettura per volta.
La cosa non sarebbe così malvagia se, ogni tanto, vi fossero delle piccole piazzole per consentire di allargarsi e, quindi, di permettere l’incrocio tra mezzi.
Purtroppo, tali piazzole non ci sono e, ovviamente, con la fortuna che mi contraddistingue, proprio mentre mi recavo nella struttura, in una zona in cui il sedime stradale era più basso rispetto ai filari di viti, rendendo, quindi, impossibile ogni manovra evasiva, ho incontrato un’altra autovettura che mi ha costretto a fare circa 200 metri in retromarcia, al buio, in mezzo ai campi con tutti i rischi connessi…

Ciò detto, la proposta gastronomica prevede due menù degustazione, di cui uno alla cieca, e un menù alla carta.

Ovviamente, mi sono cimentato con quello alla cieca (proposto ad € 85,00 per otto portate) confidando (e non sbagliando) nel fatto che sarebbero arrivati anche piatti non compresi nell’altro menù e nella carta.

La partenza è con una zucca in tre consistenze che fa egregiamente il suo dovere: è un piatto ben fatto, ma non trasmette nessuna particolare sensazione.
Dal punto di vista estetico l’ho trovato molto simile ad un piatto di Boer, sempre a base di zucca.

Il piatto che segue è un filettino di trota marinata che anch’esso non eccede il compitino ben fatto anche se, probabilmente, le erbe aromatiche risultavano essere un pochino troppo violente per la delicatezza della trota, arrivando spesso a sovrastarla.

Con la zuppa di cipolle, invece, arriva il primo (e ahimè unico) guizzo della cena.
Per carità, mi si potrà dire che la zuppa di cipolle è un piatto per nulla innovativo, ma in questo caso il gioco di contrasti con la dolcezza della cipolla è veramente ottimo: il sapido del grana e l’amaro del caffè di cipolla riescono a bilanciare brillantemente il piatto rendendolo per nulla banale e scontato, pur senza togliere quella nota di opulenza che connota la portata.

Un nì è il cappuccino di funghi composto da tre consistenze diverse di funghi: prima un ragù di funghi, poi una spuma di champignon e, infine, una polvere di porcini.
Nulla da dire per quanto riguarda la parte dei funghi, molto piacevoli, e perfettamente riconoscibili al palato; quello che mi ha lasciato perplesso è il fatto che dentro questa specie di cappuccino siano stati messi dei pezzettini di gamberi al vapore, assolutamente non percepibili se non per una diversa consistenza.

Interessante, anche se con qualche dubbio esecutivo, è lo spaghetto cotto nel brodo di gallina grisa con crema di pane.
La cottura degli spaghetti nel brodo fa fatto sì che gli stessi risultassero un mix, per il vero molto piacevole e curioso, tra il gelatinoso e l’al dente; tuttavia, il piatto nel suo complesso spuntava parecchio di sale, complice, probabilmente, da un lato, la cottura nel brodo e, dall’altro, la sapidità della crema di pane. Peccato.

Grande delusione, invece, il risotto ai peperoni e vaniglia che mi è parso totalmente insapore tant’è che per un istante ho avuto paura di aver preso nuovamente il COVID…

L’orata al vapore, ragù di seppie, crema di ceci e limone bruciato si colloca nel novero dei piatti tutto sommato ben fatti dei quali, però, ti scordi cinque minuti dopo averli mangiati.

Sulla stessa lunghezza d’onde anche la crema catalana fatta di “polenta”.

Onestamente, eccezion fatta per l’unico inciampo nel risotto e qualche veniale svista qui e là, non posso dire di aver mangiato certamente male, anche se l’aspettativa era certamente molto molto maggiore: ricordavo una cucina che osava molto di più, mentre ho trovato una cucina con il freno a mano tirato, complice, probabilmente, il fatto che il ristorante si sia trasferito all’interno di una struttura ricettiva.
D’altra parte, per mia esperienza diretta, in questi casi, il servizio ristorante diventa quasi ancillare rispetto alla parte ospitalità e, pertanto, si tende a creare una cucina comfort che possa abbracciare i gusti del maggior numero di clienti: a riprova di ciò si osservi, infatti, che su sette piatti salati, ben quattro erano a base dolce (zucca, zuppa di cipolle, cappuccino di funghi e risotto al peperone e vaniglia).

Carta vini eccessivamente risicata: capisco perfettamente la collaborazione con Tasi e Fasoli Gino, ma l’offerta è veramente molto modesta.

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