Katsu Nakaji @ Ronin (MI)

Al terzo piano del Ronin di Milano, ossia presso il ristorante gastronomico dell’omonimo locale, sino al 25 marzo, con il rito del sushi omakase, si può avere la fortuna di assaggiare la vera cucina giapponese di uno chef stellato (*), ossia Katsu Nakaji, proprietario e chef del ristorante Hatsune Sushi a Kamata (Tokyo) .

Innanzi tutto, cos’è il rito del omakase?
«Omakasè» in giapponese significa letteralmente “fai tu” ed è al tempo stesso un tipo di ristorante e di modo di mangiare: ci si siede ad uno dei pochi posti al bancone, proprio davanti allo chef e ci si fa servire direttamente da lui, portata dopo portata, lasciandogli la piena libertà di creare un percorso degustativo per i commensali.
Proprio in ragione di questa impostazione è previsto (e obbligatorio) che tutti i commensali mangino contemporaneamente.

Ma cosa c’è di differente, a livello macroscopico, tra il sushi che siamo soliti assaggiare tutti i giorni e quello preparato dalle mani di Katsu Nakaji?

A parte il fatto che sarebbe come paragonare una bicicletta scassata a una Ferrari, ecco alcuni pensieri in libertà.

La prima cosa è il riso
Per quanto la preparazione del riso, in un certo qual senso, sia codificata da secoli, ogni Chef ha il suo modo particolare di interpretarlo (modo di cottura, tipologia di aceto di riso, proporzioni tra aceti diversi, etc.) creando, così, delle sfumature di sapori che rendono il suo riso unico ed inimitabile.
Il riso che ho assaggiato mi ha stupito per la sua consistenza: sebbene, come si vede dalla foto, i chicchi fossero perfettamente separati tra loro, al momento di metterli in bocca, la sensazione provata è stata di assoluta “scioglievolezza” e leggerezza, quasi, mangiare una nuvola.

La seconda cosa è il wasabi
Pochi lo sanno, per quanto il sapore sia oggettivamente riconoscibilissimo prestando un minimo di attenzione, che quella poltiglia verde che si trova nei ristoranti giapponesi non è vero wasabi, bensì del rafano grattugiato a cui viene aggiunta della clorofilla o della spirulina
Il vero wasabi è una radice, dalla crescita lentissima, che nasce e si sviluppa in acque freddissime, dal costo letteralmente folle.
Il wasabi deve essere preparato grattugiando la radice per tutta la sua lunghezza (per mescolare le diversità intensità di sapore delle varie parti) poco prima dell’inizio del pasto, tradizionalmente utilizzando una grattugia speciale fatta di pelle di squalo.
Il sapore è qualcosa di unico: una volta assaggiato si farà fatica a tornare indietro.

La terza è la materia prima
Solo pesce freschissimo (a parte una incursione di wagyu e una di bottarga) che, ovviamente, in Italia obbliga a scelte leggermente diverse da quelle che si sarebbero potute effettuare in Giappone, ma che hanno, comunque, lasciato esterrefatti anche in ottica fusion tant’è che il nigiri che mi ha colpito di più è stato quello con calamaro e bottarga di muggine.
Finalmente niente salmone, niente avocado e formaggi spalmabili simili allo stucco.

Quando la materia prima è ottima, si vince facile, ma per vincere facile è necessario essere in grado di selezionarla e di trattarla in modo adeguato e qui si va nella quarta differenza, ossia…

La quarta è la tecnica
A mio avviso, parlare di tecnica è assai riduttivo in quanto sarebbe più opportuno parlare di tradizione e ritualità.
Una cosa mi ha stupito molto, ossia il fatto che lo Chef fosse molto disponibile ad interagire con gli ospiti (si è fatto una foto col suo cellulare con ognuno di noi), anche in maniera buffa, con facce e pose anche tipiche dei Kiss degli anni d’oro, ma…
Ma appena finiva, ad esempio, il giro d’onore del pezzo di tonno che avrebbe servito e arrivava il momento di lavorarlo i suoi occhi cambiano luce e le sue movenze diventavano simili a quelle di un sacerdote che officia il rito: attenzione al dettaglio, alle esatte proporzioni e alle temperature.
Ecco, la temperatura.
Noi siamo abituati a mangiare il sushi tendenzialmente ghiacciato (forse per anestetizzare il palato e coprire il sapore di pesci non proprio in forma), mentre qui il sushi era quasi sempre a temperatura ambiente, o meglio, a volte alla temperatura del palato.
Ad esempio, il tonno (Akami e Chu-Toro) è stato degustato ad una temperatura prossima ai 28 gradi in quanto quella temperatura sarebbe quella del tonno mentre dorme, ossia nel momento in cui le carni non sono stressate dal movimento del pesce nell’acqua.
La ventresca, invece, è stata servita ad una temperatura maggiore per consentire al grasso della carne di sciogliersi e fondersi perfettamente.

Ciò detto, ecco le portate della serata…

Il costo della serata, acqua compresa, è di € 250,00.

Ecco sulle bevande caliamo un pietoso velo.
Premesso che ho seguito l’insegnamento di Gualtieri Marchesi bevendo solo acqua, ho, comunque, dato uno sguardo alla carta vini.
L’ho trovata banalotta da Milanese imbruttito, con prezzi, appunto milanesi…

Volendo si potrebbe aprire un capitolo anche sui commensali, ma forse, l’onestà intellettuale impone di soprassedere: è comprensibile che per molte persone tale serata fosse semplicemente uno show-cooking figo, mentre per me, era un viaggio alla scoperta di una cucina che non ho mai avuto la fortuna di conoscere seriamente.

(*) Il ristorante Hatsune Sushi di Katsu Nakaji ha mantenuto le due stelle Michelin dal 2009 al 2021, sebbene fosse chiuso dal 2018 per una ristrutturazione, quando è stato cancellato dalla Guida Michelin Tokyo (ref.).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.