Tèrra – Copenaghen (DK)

Per i non “addetti ai lavori” è impensabile che il Nord Europa sia una fucina di ristoranti gourmet di alto livello.

Per dare un’idea, nella sola capitale della Danimarca, Copenaghen, con una popolazione di circa 660.000 abitanti, pari a meno della metà di quelli di Milano, si contano ben 15 ristoranti stellati (2 tre stelle, 5 due stelle e 8 monostella), a fronte dei 16 presenti nella stessa Milano (*).

Non solo: tra i ristoranti di Copenaghen spiccano gli ultimi due migliori ristoranti al mondo secondo 50 Best Restaurant, ossia il Noma (2021) e il Geranium (2022).

Proprio per questo motivo sono tornato, per la seconda volta in due anni, a Copenaghen, ma, al momento, il ristorante di cui vi parlerò non è il Geranium, ma il Tèrra  di Valerio Serino e Lucia De Luca nel quale sono capitato, in un certo, senso per caso.

A dire il vero è un ristorante che, dai post di IG, mi aveva stuzzicato da sempre.
Con altrettanta franchezza, ovviamente, non ho mai pensato di prendere un aereo per andare a mangiare da loro.

Fatta questa premessa, mi sono trovato a pranzo al Geranium quando, parlando con la mitica Giulia Caffiero e, in particolare, chiedendo suggerimenti su dove andare a cena, mi ha proposto di prenotarmi un tavolo per quella sera, appunto da Tèrra e così è stato…

Anche questa volta, con uno stile degno di un pessimo scrittore di romanzi gialli, parto dal fondo dicendo che non solo ho mangiato oggettivamente benissimo, non solo sono riuscito a dimenticarmi di fare una foto ad un piatto, ma, per certi versi, ho mangiato meglio che allo stesso Geranium: ovvio che non sono grandezze tra loro commisurabili, ma nei piatti, anche se con qualche piccola svista qui e là, ho visto la sperimentazione, la voglia di stupire (magari sbagliando), la voglia di non cercare a tutti i costi il confortevole.
Il tutto declinato in una filosofia di maximize recycling and minimize waste che gli hanno fruttato il riconoscimento di una meritatissima stella verde della Michelin.

Ovvio che tale scelta di vita, al di là di togliersi dalle balle lo spettro di Greta Thumberg, comporta dei lati negativi, quali la forzata la ripetitività degli ingredienti, ma se ben gestita è la dimostrazione che da poco si può fare molto e molto bene.

L’esempio nasce con il benvenuto della cucina, ossia un brodo di anguilla e miso di limone verbena che sarà il preludio di una delle anguille più buone che abbia mai mangiato in vita mia, ossia uno spiedino di anguilla, rapa rossa e teriyaki: tutto era perfetto, anguilla sgrassata benissimo e cotta magistralmente, le note terrose della rapa rossa presenti, ma non invadenti con a chiudere con il sapore dolce/sapido della salsa teriyaki.
Travolgente.

La patata, ossia un ingrediente, con due preparazioni, con due consistenze e con due sapori che diventano un piatto: patata ossidata, uova di trota e spuma di patata al rafano.
Dolcezza, sapidità e una leggera piccantezza per non annoiare il palato.
È vero, forse è un pochino ruffiano, ma una coccola ogni tanto ci sta.

Stupendo il sedano rapa con la salvia (piatto firma).
Anche qui partendo da un ingrediente, ossia il sedano rapa, con lavorazioni diverse, si ottengono sapori e consistenze che creano un piatto: una specie di tacos fatto con una fetta di sedano rapa fritta, al cui interno c’è una fetta di sedano rapa acidificata e della crema alla salvia.
Al morso il primo contrasto tra consistenze: croccante, masticabile e cremoso.
La parte acidificata aiuta ad alleggerire il palato dal (delicato) sentore del fritto e, per ultima, arriva la salvia a rinfrescare la bocca richiamando il caratteristico sapore del sedano rapa, molto simile al finocchio, che continua ad aleggiare.
Boccone dopo boccone, ti accorgi che purtroppo è finito…

Confesso che con le ostriche, per colpa di una brutta indigestione fatta anni fa, ho un rapporto di amore e odio che migliora e peggiora un pochino a casaccio, ma, questa volta, devo annoverare proprio un’ostrica tra i miei piatti preferiti, ossia l’ostrica danese con cavolfiore, liquirizia e aria di erba ostrica.
Sì, un pochino goloso, d’accordo… ma l’equilibrio era magistrale: il cavolfiore, con la sua dolcezza, bilanciava la spiccata sapidità dell’ostrica, mentre la nota verde/erbacea della liquirizia ne esaltava e allungava il sapore marino.

Per dovere di cronaca, i due piatti che mi hanno convinto meno sono stati l’aguglia in carpione con meringa e scalogno e la vacca vecchia massaggiata con olio al wasabi.

Purtroppo nell’aguglia in carpione la meringa risultava essere eccessivamente dolce ed invadente rendendo il piatto decisamente stucchevole.

Il sapore della carne della vacca vecchia era qualcosa di eccezionale, ma la temperatura di servizio era troppo bassa e, probabilmente, era scappata un pochino la mano del sale.

La cosa che mi stupisce quando ripenso a quella cena, iniziata alle 19.00, è il fatto che siano riusciti a farmi innamorare nonostante provenissi da un pranzo importante, quale quello al Geranium, terminato, più o meno alle 15.30…

Un percorso degustazione di 13 portate che ha toccato pressoché tutte le materie prime tipiche della Danimarca con alcune ripetizioni forzate che derivano dalla, condivisibile, volontà di ridurre lo spreco al minimo, ma, come detto in apertura, mai come in questo caso, tale limite è diventato un’opportunità di sperimentare e di far capire all’ospite come possa cambiare una certa materia prima cambiando l’approccio nei suoi confronti.

I misteri della Guida Michelin sono imperscrutabili e, forse in Danimarca, per uno chef italiano che non fa cucina italiana, lo sono ancor di più.
Quel che è certo che dal basso della mia esperienza questo è un ristorante che farebbe impallidire molti ristoranti stellati italiani che, ahimè, non brillano per fantasia e innovazione.

(*) Un tre stelle, 2 due stelle e 13 monostella.

Per quelli che leggono fino in fondo, la foto del piatto mancante è la rapa bianca marinata nel sambuco, capasanta del Mar del Nord e foglia di fico.
Anche qui un gioco di diverse masticabilità e, quindi, permanenza in bocca degli ingredienti tra la rapa bianca e la morbidezza della capasanta.
I sapori viravano dal dolce/acidulo della rapa marinata al dolce iodato della capasanta con una persistenza finale data dalla dolcezza fruttata della foglia di fico, il cui gusto ricorda vagamente la frutta secca e la noce di cocco.

Ah, se vi capita di andare a Tèrra, anche se non ne avete necessità, fate un giro alla toilette…

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