Trigabolo (1983 – 2023)

Quando aprì i battenti il Trigabolo ad Argenta (FE) era il 1983 (*) e, quindi, io avevo circa sette anni e, ovviamente, non sapevo nemmeno cosa fosse la cucina gourmet.

Il Trigabolo, che rappresenta un punto di svolta epocale della cucina italiana e che oggi definiremo senza mezzi termini un Tempio della gastronomia italiana, è nato quando il rappresentante di giocattoli Giacinto Rossetti, con il socio Gualtiero Musacchi, decidono di rilevare, ad Argenta (FE), in piazza Garibaldi, una pizzeria, che poco dopo diventerà ristorante.
In cucina mettono un giovane cuoco, Igles Corelli, con un passato sulle navi da crociera, che, a sua volta, chiama a lavorare con lui un ragazzetto appena diciasettenne, conosciuto proprio a bordo di quelle navi, che di nome fa Bruno Barbieri.
Il terzo della band è Bruno Gualandi, un giovanissimo pasticcere appena uscito dalle scuole professionali.
A questo trio si aggiunge un maître assolutamente atipico, Bruno Biolcati, ed ecco la squadra che, capitanata da Rossetti, rivoluzionerà dalle fondamenta la cucina fin lì fatta in Italia.

Come detto, in breve tempo, con piatti allora impensabili, diventa un punto di riferimento della cucina italiana arrivando a conquistare due stelle nella Guida Michelin nel 1992 (**), nonché la vetta di pressoché tutte le guide gastronomiche dell’epoca, quando ancora avevano ancora il senso di esistere e una loro autorevolezza (19,5/20 per la Guida dell’Espresso, 93/100 per il Gambero Rosso, 30/30 per Bell’Italia e 4 templi su 5 per l’Accademia Italiana della Cucina).

In ristorante chiuse, non si sa bene il perché, nel 1993 (***).

Alla luce di questa breve premessa storica voi immaginerete quale sia stata la sensazione che ha pervaso il mio animo quando, per puro caso, ho scoperto che a Cesenatico, in un contesto di beneficenza, sarebbe stata organizzata una réunion del mitico Trigabolo: non ho resistito e in meno di 10 secondi ho fatto la prenotazione.

L’evento, accanto alla possibilità di assaggiare delle eccellenze gastronomiche del territorio, ha consentito di far rivivere, per una sera, piatti nati quasi 40 anni.

La sensazione è stata molto strana, soprattutto per un girovago gastronomico come me.
È innegabile che molti di questi piatti, al giorno d’oggi, abbiano perso un pochino della loro aura di innovatività, ma per capire a fondo il contesto in cui sono nati, bisogna calarsi nel mondo della cucina emiliana degli anni ’80/’90, quando il massimo della trasgressione poteva consistere in variazioni di poco conto sui piatti della tradizione locale e quando uno dei piatti più comuni e in voga il sabato sera erano le pennette salmone e vodka, ma soprattutto il concetto di turismo gastronomico era ancora là da venire.

Secondo voi, tra le tante cose, quanti cuochi (allora si chiamavano ancora così) negli anni ’80, avrebbero pensato di utilizzare dello zenzero per alleggerire un budino fatto con cipolla e fegato grasso?
Volendo a pensare alla profondità di sapori di quel piatto e cercando nella cucina attuale un richiamo, mi sovviene la cipolla di Davide Oldani.

Oppure, pensate ad un abbinamento, ancora oggi, per il vero abbastanza inconsueto tra un germano e l’anguilla: quante volte avete, infatti, avuto occasione di assaggiare un piatto dove si incontrano una selvaggina da piuma con un pesce?
Io, onestamente, per la prima volta, ho avuto modo di assaggiare un piatto con un abbinamento similare nell’ottobre 2021 da Harry’s Piccolo a Trieste dove in carta avevano un piccione con anguilla.

Per una sera, quindi, sono tornato indietro nel tempo, cercando di liberare la mia testa da quello che ho assaggiato a tavola negli ultimi anni, nei migliori ristoranti del mondo.
È stato difficile perché, come avete visto poco sopra, il richiamo a quello che hai provato adesso è sempre dietro l’angolo e ti fa apparire banale quello che stai mangiando.
Però, poi, ti fermi un istante e pensi al ricordo delle sensazioni che hai provato quando hai affrontato la prima volta i piatti moderni che ti paiono richiamare i piatti del Trigabolo e dici: «cavolo se mi sono stupito io nel 2021, chissà cosa sarebbe successo, seduto a quella tavola, nel 1993?».

Nonostante fosse una cena per quattrocento persone e, quindi, con un modo di lavorare certamente distante anni luce da quello del Trigabolo, mi ha colpito la pulizia dei sapori, soprattutto nel germano ripieno d’anguilla, un piatto che ad oggi si definirebbe millimetrico, ma che io voglio definire cerebralmente goloso in cui ogni singolo sapore era al suo posto, pronto a completare ciò che un altro sapore lasciava indietro. Me ne sarei mangiato un pallet.

A questo punto, con la cattiveria che mi contraddistingue, mi permetto di fare un commento sul mood della serata, o meglio, sullo spirito della serata che ho potuto percepire io.
Da un lato, Igles Corelli, il padrone di casa anche oggi, ossia una persona che ti faceva capire che credeva profondamente nel progetto della serata, ossia raccogliere fondi per l’Istituto Oncologico Romagnolo.
Dall’altro, Bruno Barbieri, chef mediatico che negli ultimi anni ha abbandonato i fuochi delle cucine dei ristoranti per dedicarsi a vendere topper e a fare il conduttore di programmi televisivi, che pareva essere lì non tanto perché parte di quel mitico pezzo di storia, ma come una comparsa prezzolata (sono ovviamente convinto che così non fosse).
La giacca di Corelli, a fine serata, era stazzonata e macchiata, quella di Barbieri, no.

Serata epica che resterà nel mio cuore che, in qualche modo, mi potrà far dire «ho mangiato anch’io al Trigabolo di Argenta», con il valore aggiunto di aver contribuito a fare qualcosinainainaina per aiutare persone che hanno bisogno…

(*) Sul web come data di apertura si trova indicato anche il 1979.

(**) La prima stella Michelin è stata conquistata nel 1984.

(***) Secondo la storia del ristorante, la data di chiusura è indicata nel 1993, mentre sulla Guida Michelin risulta aver mantenuto le due stelle sino al 1995.
Dal 1996 il Ristorante scompare definitivamente dalla Guida Michelin.

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