Bistrot Al 2 – Verona

In Veronese si dice «voria, ma non posso», ossia «vorrei, ma non posso»

Questo è uno dei post più difficili che abbia mai scritto in vita mia in quanto si deve fare una distinzione netta, quasi abissale, tra la mano dello Chef e il ristorante in cui lavora: infatti, come vedremo in seguito (qui la mia vena da saggista noir dimostra la sua proverbiale inefficienza), la mano dello Chef appare sovrabbondante rispetto al ristorante considerato nel suo complesso.

Con enfasi, l’Hotel Due Torri, per lungo tempo l’unico hotel 5 stelle lusso di Verona, ha dichiarato di voler aprire al pubblico la propria esperienza culinaria, per il vero, fino a qualche anno fa, tanto modesta quanto pretenziosa, e così è nata l’idea del nuovo ristorante gastronomico Bistrot Al 2 che, secondo le dichiarate volontà, avrebbe lo scopo di «accogliere con entusiasmo sia gli ospiti che provengono da lontano, sia i veronesi del luogo, cercando di soddisfare le diverse esigenze e aspettative di ciascuno attraverso le sue proposte d’autore».

Ecco, l’Autore c’è, manca tutto il resto…

La prima sensazione che si ha entrando nel ristorante è quello di entrare in un locale che si è fermato agli anni ’70/’80 e da allora non si è più mosso: io sono un amante del vintage, ma la sensazione che ho avuto qui è stata solo quella di essere in un posto semplicemente «vecchio» e non certo con arredamenti che mi immaginerei di trovare in hotel 5 stelle lusso.
Attenzione non voglio dire che fossero strutturalmente inadeguati, ma semplicemente un pochino sotto tono per l’ambiente.

Tralasciando la prima impressione, mi sono cascate letteralmente le braccia quando mi sono accorto che la carta vini (non troppo interessante, non particolarmente ampia, limitatissima sul settore bollicine e con prezzi abbastanza incomprensibili soprattutto nelle poche referenze del settore champagne) era costituita da un porta menù, per quanto dalla copertina nuova ed elegante con il suo bravo stemma dell’hotel stampato sopra, con le pagine composte da buste di plastica A4, in cui erano inseriti dei fogli dall’improponibile colore giallo, in perfetto stile trattoria di pesce: faccio, infatti, fatica a ricordare un ristorante di fine dining in cui abbia mangiato negli ultimi dieci anni che avesse una cosa del genere.

Per quanto non siano successe cose particolarmente strane o eclatanti, il servizio, cortese ed educato, appariva particolarmente incerto e non certo avvezzo al tenore che il locale vorrebbe darsi: il refill del vino aveva dosi più da osteria che ristorante gourmet.
Per rimanere in tema, un altro elemento che mi ha ricordato molto l’osteria, anche se qualcuno potrebbe dire che si tratta di una stilosa evocazione della cucina di vicinato, è stato il pre-conto scritto a mano con, peraltro, il nome della prenotazione clamorosamente sbagliato.

Nel mondo dell’informatizzazione sempre più spinta, ho trovato francamente inconcepibile che per poter pagare il conto, una volta accertato che il pre-conto fosse corretto (a parte il nome), tu debba andare alla reception dell’hotel: non ti possono portare la ricevuta al tavolo? Non hanno un mezzo di pagamento wireless? Boh!

Che qualche problema con la tecnologia ce l’avessero si è percepito anche al momento della prenotazione: la prima volta che ho provato a prenotare attraverso il loro sito, infatti, non ho ricevuto alcun tipo di riscontro.
La seconda mi hanno confermato il tavolo solo il giorno prima del giorno previsto per la cena nonostante fossero passati quasi dieci giorni dal momento della prenotazione.
Visto che hanno il servizio di prenotazione con TheFork (l’ho scoperto solo dopo le mie disavventure, perché non segnalato sul loro sito), perché non usare direttamente solo quello per la gestione delle prenotazioni?

Ultimo, ma non meno importante è il conto che, onestamente, ho trovato inadeguato: tralasciando il fatto che mi risulta proprio inconcepibile che col menù degustazione ti facciano pagare il coperto a parte (ben 5 euro), 120 euro per 5 portate è un prezzo che reputo non coerente per la tipologia di ristorante, basti pensare che un 6 portate al Desco (stella Michelin da circa 35 anni) costa 145 euro.
Per quanto non l’abbia assaggiato e, quindi, non sia in grado di valutarne le materie prime, sono rimasto letteralmente basito leggendo le portate del menù vegetariano a 95 euro (più l’obolo di 5 euro per il coperto).

Voltiamo pagina e veniamo a questo punto alla cucina!

Come tutti i ristoranti all’interno degli hotel, la proposta gastronomica è fortemente influenzata dalla necessità di poter accontentare, primi fra tutti, gli avventori della struttura ricettiva e, pertanto, è vocata a cercare di andare incontro ai gusti di chiunque.
Purtroppo, quando si vuole accontentare tutti, spesso non si accontenta realmente nessuno e, certamente, non si riesce a diventare un punto di ritrovo per ospiti che non siano clienti dell’hotel: leggendo il menu à la carte, la sensazione è esattamente quella e ciò che si legge è la più assoluta banalità gastronomica, filetto alla Rossina in testa.

Per fortuna, per salvare la situazione interviene il menù degustazione alla cieca in cui le portate servite possono essere anche estranee rispetto al normale menù alla carta: nel mio caso, infatti, sui cinque piatti previsti (cui si è aggiunto un sesto offerto dallo Chef) due erano estemporanei e, nemmeno a dirlo, erano quelli certamente più interessanti.
Su questo punto, riapro un attimo il discorso servizio, perché per arrivare a comprendere (come speravo) che i piatti del menù degustazione potessero essere anche estranei rispetto alla proposta alla carta, ho dovuto chiederlo per ben tre volte perché la persona che mi ha servito non è stata minimamente in grado di spiegarmelo…

Tornando al discorso piatti, i più interessanti si sono rivelati essere i due estranei ossia la tartare di cavallo con ostriche e fondo di cavallo e i tagliolini al foie gras e astice.

Sebbene la tartare di cavallo con ostriche sia un piatto che ho già visto più volte (la prima all’Autem* a Langhirano nel 2019), se ben eseguito è un vero piacere per il palato perché mescola il dolce della carne equina con il sapido dell’ostrica e del fondo di cavallo: questo era veramente fatto molto bene e l’ho mangiato con vera golosità.

I tagliolini con foie gras e astice, invece, rappresentano la quint’essenza dell’opulenza, della sontuosità e della golosità: per quanto sia il fegato grasso che l’astice siano notoriamente dolci, la cottura dell’astice attribuiva sapidità e, quindi, equilibrio al piatto rendendolo per nulla stucchevole tant’è che me ne sarei mangiato una bacinella.

A mio avviso, una ricalibratura sarebbe necessaria per la ricciola australiana, tuorlo affumicato, aneto, beurre blanc e cipollotti in quanto l’aneto risultava essere molto molto prepotente tant’è che l’ho sbuffato per quasi dieci minuti.

Amuse-bouche e piccola pasticceria parecchio sotto tono rispetto al resto del pasto.

Nonostante i classici vincoli imposti alla ristorazione in house, lo Chef cerca (riuscendoci) di tenere un pochino vivo l’interesse gastronomico usando la via di fuga del menù alla cieca che, tuttavia, sconta comunque l’impostazione piaciona imposta dall’alto.
In un contesto come quello che ho trovato, con un servizio traballate e tutti i limiti sopra evidenziati, ritengo che sarà molto difficile che qualcuno, che non sia ospite dell’hotel, possa aver voglia di andare a cena al Bistrò Al 2 spendendo, per due portate, circa settanta euro a testa (vini esclusi): sarà un caso, ma la sera che ho cenato io ero l’unico ospite esterno e la sera dopo, che sono passato per puro caso davanti al locale, ho visto la desolazione più assoluta.

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