Caino ** – Montemerano (GR)

Il 2024 si apre con la visita a uno dei ristoranti unanimemente considerato uno dei templi della gastronomia italiana: Ristorante Caino a Montemerano.

La padrona di casa (Shef come si chiama lei anche per rivendicare il suo ruolo di donna) è Valeria Piccini ed è una delle pochissime donne chef italiane (in totale sono dieci) ad aver ottenuto la stella Michelin: in questo caso, vanta addirittura due stelle da oltre vent’anni.
La cucina è dichiaratamente quella del territorio (siamo in Maremma) anche se con contaminazioni e rivisitazioni in chiave contemporanea.

Fatto questo inquadramento sulla tipologia di cucina, a essere onesti, devo confessare che ho meditato lungamente sull’opportunità di prenotare da lei: non me ne voglia nessuno, ma spesso, quando si leggono queste storie, ci si trova a ristoranti paragonabili a dei cimiteri degli elefanti in cui si vive appoggiati a un passato glorioso, ormai offuscato dal passare del tempo.
Ad aggravare la situazione si aggiunga che mi sono pervenuti parecchi commenti negativi in cui, proprio, si evidenziava quanto poc’anzi scritto, ossia un ristorante una volta glorioso, ora, poco splendente.

Nella mia testolina, tuttavia, è echeggiata la voce di un caro Amico chef che, una volta, riferendosi a un altro mostro sacro in via di offuscamento, mi disse: «la tua cultura gastronomica non può prescindere dal visitare i locali che hanno fatto la storia della cucina italiana».
Detto fatto ho prenotato.

Arrivo a Montemerano con un vento freddo, sferzante e tagliente.
Varco la soglia e vengo accolto da un piacevolissimo tepore indotto non solo dal caldo del camino, ma anche e soprattutto dal luogo.

Opto, ovviamente, per il menù leggermente più innovativo “Idee in Movimento“, proprio per vedere se c’è del fuoco sotto la cenere che mi hanno detto avrei trovato: dopo una partenza un pochino dubitativa con un piatto non proprio perfetto (sedano rapa, castagne e tartufo nero) sia perché un pochino troppo sapido sia perché la tartelletta risultava poco friabile per via dell’umidità, arriva imperiosa la sorpresa.

Se io ti chiedessi che ne pensi di un nigiri di cinghiale marinato nel whisky torbato, tu cosa diresti?
Il piatto si apre, appunto, con un nigiri di cinghiale marinato nel whisky torbato, ma il classico riso era sostituito da del topinambur a pezzettini piccoli, proprio a ricordare la consistenza e la masticabilità del riso da sushi: in un boccone percepisci il sapore esplosivo della carne di cinghiale cruda, con il suo classico sentore selvaggio, intervallato dalle sferzate del whisky affumicato, che poi si spengono nella delicatezza del topinambur.
Arriva, poi, la seconda parte del piatto ossia il carpaccio di cinghiale marinato, con alghe ed erbe aromatiche e, di nuovo topinambur, ma questa volta in versione vellutata con patate.
Anche in questo caso la nota acidula della marinatura del cinghiale supporta ed esalta il gusto della carne cruda e incontra il suo antagonista nella cremosità della vellutata; erbe aromatiche e alghe a dar quella noticina di erbaceo e sapido che invoglia.
Un maremmano in Giappone!
Insomma, un piatto wow!

Con diaframma, cavolo rapa e brodo di funghi il legame col territorio diventa più stretto ed i sapori classici, che ti aspetteresti da un piatto del genere, danno il meglio di sé, con una profondità che ancora ricordo. Cosa vuoi dire se non: “ancora un altro per favore“.
Cottura della carne: 11/10.

Onestamente la sogliola, radici e vongole, oltre ad apparire oggettivamente inguardabile dal punto di vista estetico ha rappresentato uno dei piatti che, quando lo mangi, ti domandi: ma perché?
La sogliola, di per sé, aveva un sapore stupendo (anche se un pochino asciutta), ma risultava essere totalmente decontestualizzata e slegata rispetto a tutto c’era accanto a lei nel piatto.
Le tre vongole ricordavano i personaggi del dramma di Pirandello “tre personaggi in cerca d’autore“.
Divertente, il fatto, che lo stesso cameriere, mentre rispondeva a un ospite che chiedeva se si potessero togliere, abbia ammesso che la loro presenza nel piatto era, tutto sommato, irrilevante.

Lumache lardellate, crema di cannellini e olio al prezzemolo erano una portata del menù “piatti storici” che ho espressamente chiesto che mi fosse aggiunto e, col senno di poi, è stata un’idea proprio geniale visto che ancora adesso, a oltre una settimana di distanza, ho ancora in mente il sapore di quel piatto.
Mostruosamente equilibrato e con sapori dal nitore stupefacente: il lardo conferiva sapidità al piatto senza sovrastare il gusto delicato della lumaca e trovava il suo giusto contro bilanciamento nella crema di cannellini. Bello anche il contrasto tra consistenze tra lumaca e cannellini.

Il Piccione… Viaggiatore è una rivisitazione, in chiave orientale, rifacendosi a un’esperienza a Shangai della Schef, del tipico piccione viaggiatore allevato in zona.
La cottura del piccione, o meglio la non cottura, era qualcosa ai limiti delle lacrime agli occhi per la commozione; il mix di spezie, in chiave orientaleggiante, esaltava appieno il sapore della carne che manteneva il suo delicato sentore ematico.
Anche in questo caso, come per la sogliola, tutto ciò che c’era accanto al piccione, era un orpello assolutamente inutile, brutto a vedersi e slegato dal contesto.

Alla fine della cena, non posso che esprimere un parere positivo sul Ristorante Caino e non mi pento per nulla di aver fatto oltre quattro ore e mezza di macchina per andare a mangiare da Valeria Piccini.
Certo è un locale che è molto ancorato alla tradizione anche se cerca di modernizzarla un pochino.
Tuttavia, fino a quando la modifica o l’innovazione è tale da non far perdere ai piatti una stretta connessione con il territorio, si arriva a vette di eccellenza pressoché inarrivabili, ma quando tende a fuoriuscire dal seminato si arriva a piatti che, forse, sarebbe meglio evitare.

La sala, nel suo complesso, non mi ha convinto molto: l’ho trovata molto algida e, onestamente, non mi sono sentito proprio a mio agio.
Per carità, non posso non dire che non siano stati ospitali visto che mi hanno omaggiato del piatto extra che ho chiesto rispetto al menù degustazione, ma il clima risultava veramente molto impostato, con scambi di conversazione veramente ridotti all’osso, il che appariva quasi cozzare con l’ambiente caldo del locale.

Pornografico nella sua semplicità il pane ripieno di ricotta, che, vi giuro, me lo sono sognato la settimana scorsa.

Impagabile, invece, per quanto fugace, lo scambio di battute con la Schef che mi ha ricordato molto, anche se in veste più elegante, il modo di approcciarsi della Sora Lella.

Carta vini veramente molto interessante che, se letta attentamente, riserba delle chicche a prezzi assolutamente onesti: io ho bevuto un Ferrari Riserva Lunelli 2009 a 68,00 euro.

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