Questo mio post, contrariamente a quanto accade di solito, comparirà solo su questo sito perché non voglio mettere in difficoltà il ristorante di cui parlerò, perché non se lo merita per nulla: purtroppo, mi sono reso conto che la lettura dei post su IG ottiene pochi secondi di attenzione e, quindi, difficilmente, anche in ragione dei limiti dettati dai caratteri a disposizione, si riesce a fornire una visione più completa del pensiero o, quantomeno, a farlo percepire a una lettura fugace.
Pochi mesi fa, ancora nel 2024, la Guida Michelin ha, come ormai fa da qualche anno, deciso di inserire (rectius menzionare) nel proprio sito e, quindi, a cascata nella pubblicanda guida cartacea, due nuovi ristoranti in territorio veronese: Vert Osteria Contemporanea e Locanda di Nonna Ida.
Poiché conosco da anni lo Chef della Locanda di Nonna Ida, ho deciso di andare a mangiare da Vert Osteria Contemporanea.
La prima cosa che ho trovato curiosa è la descrizione degli Ispettori, ossia: «Sulle prime pendici verdeggianti del lago e all’interno di un rustico caseggiato, la sala è molto accogliente fra sasso, legno e ampie vetrate che danno su un bel giardino ombreggiato (usufruibile quando il clima lo permette). Fragrante cucina di giornata dai connotati nazionali».
Una descrizione degna dei migliori uffici stampa, priva di qualsivoglia reale contestualizzazione, che si potrebbe attagliare, nel veronese, ad almeno un centinaio di ristoranti.
Nessuna reale menzione alla cucina che verrà proposta dal ristorante, né ad altro: una descrizione, come detto, tutto sommato anonima.
Per nulla scorato, seppur sia difficile trovare sul web un menù aggiornato (quello pubblicato su IG risulta essere di 33 settimane fa, quindi di oltre otto mesi fa), prenoto e mi faccio la mia brava mezz’oretta di macchina.
Messe le gambe sotto il tavolo, ho trovato una cucina, tutto sommato, abbastanza territoriale e fatta bene, ma senza nessun particolare volo pindarico, né per quanto riguarda la concezione del piatto, né per quanto riguarda la sua esecuzione.
L’unico piatto un pochino “fuori dal coro” è stato la pasta fermentata, acciuga, limone e pomodorini confit, dal gusto veramente molto piacevole, con la sapidità dell’acciuga gestita bene.
Qualche mia personale perplessità ha riguardato la cottura della pasta che, a mio avviso, poteva essere un pochino più al dente (non certamente scotta, ma molto cotta): soprattutto nel fusillo, tralasciando il magistrale esempio di croccantezza di Gipponi, un pochino di nerbo non disturba affatto, anzi.
Per onestà intellettuale, non avendo mai assaggiato prima la pasta fermentata, potrebbe trattarsi di un limite tecnico della materia prima anche se, dalla descrizione che ho trovato sul web del prodotto, parrebbe essere possibile una cottura al dente.
La guancia di manzo, per quanto molto buona e nonostante fosse così morbida da poter essere tagliata con la sola forchetta, si attestava su un giudizio di assoluta didascalicità.
Tutto ciò per dire cosa?
La menzione sulla Guida Michelin, una volta contraddistinta dal famoso piatto, è qualcosa che dovrebbe indicare un’offerta ristorativa che, anche se non necessariamente innovativa, esce dal coro per materie prime ed esecuzione.
Ecco, in questo caso, d’altra parte come pareva preannunciare l’anonima descrizione degli Ispettori, questa menzione fotografa un ristorante in cui si mangia bene, ma come detto, si mangia come si mangerebbe in almeno altri cento ristoranti in provincia di Verona.
La domanda, rimane, quindi: perché?