Jan *** – Monaco di Baviera (D)

La domanda che sorge spontanea dopo aver cenato da Jan, come si vedrà più avanti, è quella di chiedersi se ci si trovasse in Germania (a Monaco, nella capitale delle Baviera, per spiegare un minimo la geografia), oppure in Francia: praticamente ogni piatto trovavi almeno uno tra foie-gras, caviale, beurre blanc, tartufo…

Qualche mala lingua a cui piace sparlottare (cit.) potrebbe dire che la scelta degli ingredienti è dettata anche dalla necessità di dare un senso al costo del menù, ossia 320 euro per nove portate (più amuse-bouche e piccola pasticceria).

Io, con il mio spirito gastronomico masochistico, ho aggiunto, per la modica somma di 86 euro (che, tuttavia, non rimpiango eccessivamente), uno dei piatti firma dello Chef, ossia “Pike dumpling, N25 caviar “selection JAN”, green almonds & vermouth”, cui ho dedicato un post su IG.

La location è un sapiente mix tra i legni caldi che abitualmente si trovano nei locali tipici bavaresi, mentre l’arredamento, certamente elegante nella sua semplicità, ha un che di nordico, di spartano, con colori scuri, ma alla fine, nel complesso, la sensazione che pervade l’ospite, forse complice anche il piacevole stile di servizio, è, comunque, quella di trovarsi in un posto caldo e accogliente.

Nel mio caso, il tavolo era con vista sul pass e, contrariamente a quanto accade nella maggior parte dei ristoranti tristellati che ho avuto modo di visitare, lo Chef non pareva uno dei personaggi della danza della delle ore di Fantasia, volteggiando leggiadro in sala per dar bella mostra di sé tra i commensali osannanti, ma era effettivamente in cucina intento a spignattare. Fantastico!

L’impatto con gli amuse-bouche è inizialmente folgorante atteso che i primi due, oggettivamente, hanno stupito per equilibrio e pulizia; purtroppo, nel terzo, la salsa di soia si è rivelata dispettosa minando il sapore complessivo del piatto, spuntando di sapidità.

Al di là dell’equilibrio e della pulizia, proprio come dovrebbe essere, gli amuse-bouche hanno preannunciato quale sarebbe stata la strada lungo cui si sarebbe dipanato il percorso gastronomico: un costante mix tra l’opulenza francese e il rigore teutonico, indispensabile per far sì che la pesantezza non prenda il sopravvento.

Onestamente non posso dire molto sui piatti non perché non fossero tutti più che buoni (con un paio di eccezioni), ma perché la descrizione del piatto, proprio come dovrebbe essere, era perfettamente riconoscibile in ogni singolo boccone.
Niente nomi roboanti al limite della supercazzola, ma l’elenco degli ingredienti che si sarebbero trovati.
Stop.

I tre piatti che, in un’ipotetica classifica, in ordine di rigorosa golosità pornogastronomica, hanno svettato sono stati:
Steamed wan tan, foie gras, black truffle, vin jaune & duck essence
Pike dumpling, N25 caviar “selection JAN”, green almonds & vermouth
“Ureiche” by Jamei Laibspeis from Kempten, celery, bee pollen & black lime

Una particolare menzione per il wan tan, anche per farvi giustamente salivare: immaginate un raviolo ripieno di puro foie gras, da mangiare a cucchiaiate, che grazie alla sapidità dell’brodo di anatra, lungi dall’essere stucchevole e impastante il palato, diventa una sostanza psicotropa che non solo non stanca le papille gustative, ma chiama il boccone successivo e poi quello dopo e quello dopo ancora…
Mi ha stupito il fatto di aver trovato, a chiudere il piatto, del tartufo nero pregiato visto che non siamo in stagione: mi è stato spiegato che viene dall’Australia.
Ecco, confesso di essere un purista del tartufo e, quindi, ho apprezzato molto il fatto che non si trattasse di un qualcosa di conservato (come accaduto in altri tre stelle, con mia grande delusione), ma, forse, andare sino in Australia, mi pare un pochino eccessivo e non molto sostenibile dal punto di vista ecologico.

Non mi ha convinto per nulla Altlantic plaice, chanterelles, busum crabs, calf’s head, beef marrow & smoked bouchot mussels fumet in quanto c’erano troppe cose nel piatto e i gusti mi apparivano mediamente confusi.

Qualche perplessità sul lamb from Polting estate, mhamsa, citrus, herbs & Parmesan cheese non tanto per il gusto in sé, oggettivamente spettacolare, quanto per il fatto che mi è parso impestato d’aglio… ho sbuffato sino alla mattina dopo.

Per quanto ottimo, ma molto banale per un ristorante tristellato il dolce, ossia una versione personale dello Chef del famoso dolce foresta nera.

Servizio molto  cordiale e attento, per nulla ingessato: nonostante il mio oggettivo limite per la lingua (il mio inglese diventa “fluente” solo dopo una bottiglia di champagne), mi sono trovato molto a mio agio.

Carta vini veramente molto limitata, con pochissime referenze, ma con il valore aggiunto di dare la possibilità di bere una bottiglia anche al di sotto dei 100 euro.

Dare un giudizio finale, come mi hanno chiesto in molti, su questo ristorante è molto difficile.
Come detto, il cibo mi è piaciuto molto, l’ho trovato molto goloso e ho apprezzato moltissimo il servizio (il che mi fa sempre più spesso provare fastidio quando penso al tono mediamente altezzoso degli stellati italiani).
Tornerei volentieri? Sì, ma non certo a breve.

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