Locanda Le 4 Ciacole * – Roverchiara (VR)

Il cambio di chef all’interno di un ristorante è un evento che crea sempre molta preoccupazione negli avventori, se, poi, lo chef che è andato via aveva addirittura conquistato (per la seconda volta) la stella Michelin proprio in quel locale, l’ansia sale a mille.

In realtà, l’ansia sale a mille non solo nella clientela, la quale tutto sommato può sempre decidere di non tornare, ma soprattutto, per evidenti ragioni, nella proprietà e nella brigata di cucina che andrà ad accogliere il nuovo chef.

In questo caso, l’ansia di accogliere il nuovo chef non ha certamente pesato, né sulla proprietà, né sulla brigata di cucina e ciò in quanto il ruolo di executive chef è andato, come era prevedibile immaginare, a Bruno Vignolle, ossia il suos chef di lungo corso di Francesco Baldissarutti.

La proposta attuale, segnatamente rivolta ad un contenimento dei costi, pur cercando di mantenere un livello da ristorante stellato, prevede un solo menù degustazione e una carta non eccessivamente dispersiva: la riduzione della proposta, pacificamente, consente di ridurre i costi per le materie prime e gli sprechi.

Passiamo ora ad una breve carrellata del menù degustazione, che viene offerto ad un prezzo di € 65,00, ovviamente bevande escluse.

Gli amuse bouche iniziali non mi hanno convinto per nulla…
Un grissino, una cialda e una tartelletta con bufala, olio al basilico e pomodoro mi hanno dato la sensazione che non fossero collocabili nella definizione di amuse bouche quanto in una sorta di anteprima dei lievitati. Tra l’altro, la tartelletta era talmente friabile da non riuscire ad afferrarla con le dita in quanto si rompeva subito.

Qualche perplessità anche sul calamaro (la versione attuale è diversa da quella che ho mangiato io) in quanto il sapore della rapa rossa e quello della scarola annientavano totalmente il sapore del calamaro stesso: per poterne comprendere il sapore (molto buono) dovevi letteralmente “ripulirlo”.

Molto piacevole e goloso il risotto alla genovese.
Onestamente è un piatto ideato per piacere a tutti, e secondo me, l’intento è perfettamente riuscito: cotto e mantecato bene, gli equilibri nei sapori ci sono, il piatto è bello opulento e il manzo crudo marinato dà sia quella nota di acidità necessaria per alleggerire il palato sia serve a rendere il piatto più consistente alla masticazione.

Anche il ricordo di una piadina ha colpito nel segno, seppur il piatto necessiti di qualche limatura qui e là (che mi dicono sia stata successivamente data) necessaria a rendere il tutto più comfort al palato: una leggera nappatura dei tortelli per renderli meno asciutti e qualche foglia di portulaca in meno per togliere un pochino di acidità e far esaltare i sapori dei tortelli.
Non vi spoilero come sia fatto il piatto perché onestamente merita di essere assaggiato e di rimanere stupiti dagli ingredienti utilizzati per ricreare il ricordo gustativo della classica piada.

Nella pecora si sente la grande materia prima (io l’ho vista anche cruda) e grande cottura allo spiedo, c’è poco da dire.

La mano della pastry chef Marzia Loffredo non tradisce e arriva una rivisitazione dello strudel oggettivamente molto buona, anche se l’impiattamento stile cazzuolata rovinava un pochino l’aspettativa (visiva).

In sostanza, a quanto pare, il tanto temuto (e da qualcuno sperato) tracollo del ristorante non c’è stato, sicuramente grazie alla competenza e all’affiatamento della brigata di cucina.

Ovviamente Marina Passigato, Ciacolina per gli amici, in sala, come sempre, ha reso la cena pressoché perfetta dal punto di vista del servizio.
Non si può, certamente nascondere il fatto che sia necessario un pochino di rodaggio per far funzionare tutto al meglio, ma come detto, peccati veniali a parte, la partenza è stata più che positiva.

Qualche referenza in più nella carta vini, soprattutto sui bianchi, non guasterebbe.

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