Ho deciso di tornare da Raffilù a qualche mese dalla presa di possesso del timone da parte di Fabio.
Io e Fabio ci conosciamo ormai da tanti anni e più di una volta ci siamo “scornati”… è questo il bello.
Ciò detto, il ristorante che ho visitato è lontano anni luce da quello della sua “apertura”: nonostante la giovane età, la cucina è solida e matura, grazie ad una squadra affiatata e ben rodata.
Il must del locale è la frollatura del pesce che lascia oggettivamente sbigottiti, sia nella degustazione di crudi (frollati tra i 7 e gli 11 giorni), ma soprattutto per quanto riguarda il tagliere di “affettati”: anche un carnivoro come me non sente la mancanza di una bella mortadella classica (in questo caso col pistacchio, con buona pace dei Bolognesi e di Rachele).
Come sempre al top la ricerca della materia prima: una menzione speciale la merita la testa di corba rossa del Gargano, uno dei pochi pesci, se non l’unico, anasakis free, che ti viene servita aperta e nella quale devi scavare andando alla ricerca di una carne molto compatta dal sapore delicato e leggermente dolce.
I piatti cotti divertono giocando su abbinamenti inconsueti che non risultano fini ad un mero onanistico appagamento dello chef: godurioso il tagliolino con seppie, radicchio bruciato e limone anche se, a mio gusto, spiccava un pochino troppo l’olio usato per l’emulsione (Fabio mi ha spiegato che quella quantità era necessaria per evitare che la salsa si stracciasse).
La sala, purtroppo, gioca una partita a sé che, ahimè, non è la stessa che gioca la cucina collocandosi ben sotto le aspettative di un locale che dell’eccellenza fa il suo mantra.
Segnatevi il nome di questo ristorante questo nome perché, probabilmente, lo sentirete nominare.