Regio Patio – Garda (VR)

Tra un pasto tristellato e un pasto bistellato verde, per puro caso, si è inserita una cena del tutto inaspettata, una di quelle cene decise all’ultimo momento e, così, mi sono ritrovato al Regio Patio di Garda (VR).

Ad essere onesti, le foto di alcuni loro piatti erano già finite della mia cartellina “da provare” su IG, ma per mille mila motivi, non ci sono mai andato.

Come al solito, con una pessima dote narrativa qualora fossi uno scrittore di libri gialli, parto dal fondo dicendo che la cena, nel suo complesso, mi è piaciuta molto e ho trovato, incredibilmente, tre piatti che sono riusciti a catturare la mia attenzione…

Un tratto comune di quasi tutte le portate è l’idea della rivisitazione: quasi tutti i piatti, infatti, partivano da un’idea classica per diventare qualcosa di diverso, un qualcosa che incuriosisse l’ospite e, perché no, il suo palato.

Lo stesso caviale di apertura, lungi dall’essere solo un classico e banale caviale nella sua papalina, celava al di sotto una base di banana e del guanciale.
Qui devo fare un piccolo appunto in quanto il Maître mi aveva detto che avrei trovato del guanciale a dare una nota di croccantezza: ecco, io, in tutta franchezza, questa nota croccante non l’ho proprio percepita; anzi, al palato ho sentito solo la consistenza dolce e cremosa della base di banana, seppur con le note inconfondibili grasse e salate del guanciale.
Piatto divertente e inconsueto, forse un pochino troppo salato.

La prima portata che ha attirato la mia attenzione è stato il fusillone, ossia un piatto nel quale ho trovato un bellissimo equilibrio tra la dolcezza della nocciola e la tipica sensazione iodato/marina del riccio di mare, con un contorno di note erbacee date della nocciola cruda tagliata a fettine e dal cavolfiore, il tutto con leggeri sentori agrumati.
Un piatto veramente molto piacevole anche se, a voler trovare un difetto, il pesto di nocciole risultava un pochino troppo tirato e, quindi, nel complesso, l’insieme rimaneva abbastanza asciutto.

Invece di un visto e rivisto piatto di riso o di orzo, qui la sensazione piacevole di mangiare un bel piatto di risotto è affidata alla consistenza di un particolarissimo fagiolo, cucinato e mantecato proprio come se fosse un classico risotto: si tratta del fagiolo risina di Spello, ossia un piccolo fagiolo bianco avorio, dotato di una buccia finissima, tanto che non necessita di ammollo e cuoce in circa 15/20 minuti.
Nonostante la cottura e la buccia fine, conserva sempre un piacevole nerbo interno, con una masticabilità che ricorda molto un risotto cotto ben al dente, ma con una nota verde al palato.
Goloso, forse un po’ troppo opulento tant’è che l’agnello non riusciva a dare il meglio di sé; piacevole la menta ad alleggerire e dare un pochino di freschezza. Nel complesso, probabilmente, un pochino troppo salato.

Visto che il proverbio recita: «non c’è due senza tre», anche il terzo piatto è stato una piacevole scoperta con un turbinio di sapori e consistenze: dolce acidulo del gazpacho di fragole in contrasto con le note sapide e marine dell’ostrica cotta alla brace nel guanciale il tutto con punte di affumicatura che arrivavano dal chorizo.
Decisamente il piatto della serata.

Divertente e piacevole l’idea di proporre come dolce un peperone crusco ripieno di cioccolato fondente e lampone: in abbinamento con un pedro ximénez si esaltava la nota di capsaicina rendendola incredibilmente lunga, ma per nulla fastidiosa, anzi…

Nel complesso, poco convincente la tartare di garronese e cappasanta, nonché l’animella, quest’ultima letteralmente uccisa da un albero di prezzemolo…

Assolutamente inguardabile, invece, il burro di mandorle proposto al posto del classico burro da accompagnare col pane.
Al di là dell’aspetto poco invitante, non mi è piaciuto per nulla in quanto al palato mi ricordava molto il sapore di un ragù, per giunta un pochino onto.

Altra cosa che ho trovato bruttina è vedere il costo del coperto conteggiato a parte, anche nel caso del menù degustazione (il prezzo era correttamente esposto nel menù, sia chiaro): già il coperto in sé, a mio avviso, è un’aberrazione, ma nel caso del menù degustazione la bruttezza tocca vette inarrivabili (fortunatamente non sono in tanti a farlo…).

Carta vini non particolarmente ampia, ma si beve bene con prezzi veramente molto interessanti.

A questo punto mi ripropongo la stessa domanda che mi faccio spesso: è meglio andare in un ristorante dove ogni piatto è perfetto al millesimo di millimetro, ma le palle ti cascano per terra dalla noia, oppure andare in un ristorante in cui i piatti, anche se non perfetti, non solo ti fanno venir voglia di tornare, ma te li ricordi anche a distanza di un mese?

Io, sempre di più, opto per la seconda…

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