Ristorante Carignano * – Torino

LGBT #1

No, non sono impazzito e il sottotitolo non è quello che vi aspettate, ma
Long
Gourmet
Brainstorming
Time
ossia l’attuale menù degustazione del Ristorante Carignano, nato alle 19.45 del giorno 08.05.23, che porta la firma di Davide Scabin.

A dirla tutta, mentre scrivo queste poche righe non so ancora dove andrò a parare, quindi, abbiate fede, ma soprattutto pazienza.

Fatta questa premessa, è stato il mio regalo di compleanno per i miei 47 anni, seppur festeggiati con qualche giorno di ritardo, nonché la scusa per tornare con le gambe sotto a uno dei cinque tavoli del suo ristorante, dopo aver assaggiato il suo RAL 6001, circa sette mesi fa.

Per tentare di descrivere la cucina di Scabin, soprattutto se non si ha un importante bagaglio culturale alle proprie spalle, bisognerebbe partire dal “dopo cena”, ossia dal momento in cui lo si incontra.

Attenzione, però, questo non è il classico incontro con lo chef, avvolto nella sua mistica aura di palpabile santità gastronomica, che arriva per recitare il suo repertorio di “madonna quando sono figo”, ma un incontro serio in cui lui si presenta con un porta blocco in una mano e un bicchiere d’acqua nell’altra e, una volta sedutosi di fronte a te, inizia a proporre delle domande molto specifiche quali, ad esempio: “in un percorso da dieci portate, mi dica (che poi diventa dimmi) qual è il piatto che toglierebbe e perché?

Ecco, a tutte queste domande non vuole una risposta di stile, ma una risposta di sostanza perché sennò si indispettisce.
La prima volta che mi pose questa domanda stavo dividendo il divanetto con due signori che venivano dalla Svizzera (brutta gente gli Svizzeri) e che, ovviamente, risposero: “ma scherza Chef? Tutti i piatti sono perfetti!
Li guardò abbastanza male e non disse nulla.
Si rivolse a me e mi fece: “e tu?
Io, da quel gran rompiballe che sono, gli dissi che un certo piatto, al di là del fatto che fosse oggettivamente molto buono, l’avevo trovato fuori dal contesto e che l’avrei defenestrato ben volentieri.
La discussione, sulla cena e sulla cucina in generale, è finita quasi quattro ore dopo, ossia verso le 3 di mattina e ha lasciato sul campo tre bottiglie di Nikka…

Il menù eredita l’ordine di servizio delle portate del Combal.Zero, ossia il famoso Up&Down: si parte dai piatti più strutturati per arrivare, con un leggero, ma percepibile crescendo di acidità, a quelli più leggeri.

Nel caso del menù LGBT, l’ultima portata, ossia la decima, è a scelta tra un piatto dolce e un piatto dolce, ma non dolce.

Senza troppi, a volte fuorvianti, preliminari gastronomici si parte in quarta con una pornografica costoletta alla Villeroy (da mangiare rigorosamente con le mani) che raggiunge livelli di golosità per me inesplorati.
Per chi non lo sapesse, la salsa Villeroy è una salsa a base besciamella a cui vengono aggiunti tuorli d’uova, parmigiano e nel nostro caso tartufo; in questa salsa vengono immerse le costolette d’agnello, fatte raffreddare e poi fritte (rigorosamente nel burro).
E con questo ho detto tutto…
Il bello di questo piatto è che nonostante l’assoluta cicciosità, forse anche grazie alla collocazione a inizio pasto, non si percepisce la minima pesantezza e, anzi, si riescono ad apprezzare tutte e 15 i vegetali presenti nel piatto, compresa una fetta (nel significato reale della parola) marinata nel porto.

Destabilizzante l’arrosto di foie gras al pomodoro e basilico perché ciò che ti trasporta non è tanto il fegato grasso, ma l’acqua di pomodoro con la sua delicata acidità e la freschezza del basilico; volendo calcare la mano, si potrebbe quasi dire che il fegato grasso è il complemento agli altri ingredienti e non certo l’elemento principale su cui si focalizza la tua testa.

Le ostriche, banana verde, chorizo in Thai style mi hanno lasciato notevolmente perplesso perché è un piatto che non sono riuscito a capire.
Una portata assai generosa, visto che c’erano ben tre ostriche belle carnose, con i sapori calibrati al millesimo di millimetro, tutti sempre perfettamente percepibili e riconoscibili, ma…
Ma non sono proprio riuscito a trovarci una quadra escluso il fatto, appunto, che fosse prefetto.
Impagabile lo sguardo preoccupato dell’ottima Elisabetta Riccardi alla mia espressione perplessa…

Una delle vette della cena è stata raggiunta dal savarin di riso affumicato, finferli e unagi.
Tralasciando il fatto che probabilmente può vincere il premio “uno dei piatti più brutti della storia” (come d’altra parte quasi tutti quelli di Scabin degli ultimi anni) i sapori erano qualcosa di assoluto e le consistenze da manuale.
Onestamente non riesco nemmeno a descriverlo… posso solo dire: prendete l’essenza del sapore di ciascuno degli ingredienti e immaginatevelo rincorrere gli altri, ciascuno con la sua individualità e con la sua complementarità rispetto agli altri gusti.

Dopo un piatto come quello è difficile tenere il passo e C×5+9.3 (*) per quanto buono si perde qualche punto sul campo.
Per nulla gradita, invece, la scaloppa di sedano rapa tostata con grué di cacao dove il caviale al mandarino risultava molto, troppo invadente: ho trovato, comunque, i sapori, in generale, un pochino scomposti.
Ecco, se questa volta me l’avesse chiesto, questo sarebbe il piatto che avrei defenestrato senza pensarci un secondo.
Superlativi, invece, gli asparagi.

Passando attraverso il parabris (sì, proprio il parabrezza… per via di come è nato il piatto), tanto goloso quanto un didascalico, si raggiunge una nuova vetta con lo scampo con frappè di peperone che, “purtroppo“, nel mio caso, essendo finiti gli scampi, è diventata un’aragosta.
Un finale dolce, ma non dolce, in cui l’aragosta riusciva a trasmettere tutto il suo sapore nonostante la presenza di un vicino impegnativo come il peperone; la gelatina di fondo bruno aiutava ad alleggerire la, per nulla stucchevole, dolcezza del piatto creando un equilibrio perfetto.

Prima di concludere mi prendo alcune righe per rispondere a quelli che giustamente diranno che i piatti sono brutti.
È vero, i piatti sono brutti!
Proprio questo argomento è stato oggetto di ampia discussione la prima volta che sono stato da Scabin, sempre con i due Svizzeri accanto, i quali, a fronte della domanda diretta, “vi piacciono esteticamente i miei piatti?“, risposero che, ovviamente, erano bellissimi.
Io, invece, risposi che alcuni impiattamenti erano da primo anno di alberghiero, mentre altri erano oggettivamente inguardabili (in questo menù guardate quanto sono orride le ostriche).
La sua risposta, dopo aver concordato con me, fu che non gliene fregava assolutamente nulla del fatto che i suoi piatti fossero non instagrammabili perché lui è un cuoco e non un pittore e, quindi, quello che conta è il sapore.

L’esperienza (mi perdonerà l’ottimo V.M.V. se uso questo termine) da Scabin è una cosa che deve essere valutata attentamente perché, se è sì vero che quasi tutti i suoi piatti sono immediatamente fruibili da chiunque, solo con una solida esperienza gastronomica alle spalle si riesce a capire dove ti sta portando attraverso richiami più o meno nascosti.
In sostanza esistono due menù: quello che tutti capiscono perché ha un buon sapore e quello che va al di là del buon sapore e ti racconta una ricerca, un ricordo, un pensiero.
Un pensiero che, in fondo, lo Chef si può permettere di esprimere in assoluta libertà presentando, come detto, anche piatti oggettivamente molto brutti e, a volte, provocatori.
Questa è la sua oggettiva grandezza, sbattersene assolutamente di molte convenzioni sociali e di substrati mentali che, ormai, attanagliano la gastronomia italiana.

Un piccolo, ma sincero, grazie a Nicola Matinata e Elisabetta Riccardi per avermi fatto divertire durante tutta la cena: un servizio stellato, ma senza tutti quei manici di scopa nel sedere che ormai hanno francamente stufato.

Ovviamente un grazie anche allo chef de cusine Francesco Polimeni (anche se non ho mai avuto il piacere di incontrarlo) perché dietro ad un grande executive chef c’è sempre un grande chef de cusine.

(*) Zuppa ghiacciata di cinque cipolle diverse e brodo di manzo che nella “scala Scabin” ha ottenuto un punteggio di 9.3 (anche se Elisabetta mi ha detto che forse poteva anche essere un 9.4).
Ebbene sì, Scabin dà un voto a tutti i suoi brodi e questo, appunto, era da 9.3 o forse, come detto da Elisabetta, anche da 9.4.

Un commento

  1. […] Veramente ben equilibrate le lumache, ceci e chorizo anche se, a mio gusto, ma qui stiamo parlando veramente solo di gusti personali, avrei preferito le lumache un pochino più croccanti.L’uso del chorizo, invece, mi ha ricordato il piatto ostriche, banana verde, chorizo in Thai style di Davide Scabin nel suo ultimo menù al Carignano. […]

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