Trattoria da Bassano – Madignano (CR)

Quando ti approcci ad un posto che non ha alcunché di gastrofighetto, diventa difficile perdersi in mille prose ai limiti dell’onanismo.

È inutile partire con la minuziosa descrizione della location quando la sensazione che ho provato entrando nella trattoria è stata esattamente la stessa che avrei potuto provare entrando nel salotto di casa del sig. Bassano (sì, è proprio il nome di battesimo del titolare, il sig. Bassano Vailati) con tanto di presenza di alcuni mobili in stile qui e là e di una sedia da arredamento (un pochino in mezzo alle balle per il vero) che potresti trovare solo nel corridoio di qualche casa arredata in stile anni ’70.
Tra l’altro per entrare ho anche dovuto suonare il campanello, proprio come avrei fatto se avessi varcato la soglia di casa del mio Ospite.

Per lo stesso motivo è inutile discettare sulla mise en place sebbene, forse proprio la collocazione temporale un pochino agee, ho finalmente ritrovato quell’ormai raro oggetto di arredamento costituito dalla tovaglia e, comunque, nel complesso, la presentazione della tavola è parsa molto più piacevole di quella di parecchi stellati.

Il menù, cucina tipica cremasca e mantovana, è scritto a mano su due facciate di un foglio di carta A4, in alcuni punti illeggibile per via della grafia, rigorosamente contenuto in una cartellina di plastica; su un altro foglio, anch’esso avvolto nella sua brava cartellina di plastica e sempre scritto a mano, i prezzi delle vivande e i costi dei servizi base, ossia, acqua, coperto, etc.

Il sig. Bassano (che a me ha ricordato l’attore americano Harry Dean Stanton), conscio che si rischia di non capire un tubo è disponibilissimo a raccontarti i piatti: lo fa con molta passione anche se con una verve che, a tratti, forse, può apparire un pochino brusca.
Tuttavia, quando si comprende la filosofia del luogo e del Titolare, diventa un vero piacere ascoltarlo e affidarsi ai suoi suggerimenti per quanto riguarda la scelta dei piatti.

Per ingannare l’attesa, arrivano dei pezzettini di grana padano di Mantova (24 mesi) e un paio di fettine di salame da mangiare obbligatoriamente con le mani. A tal proposito, mi ha chiaramente detto che il salame deve essere mangiato con le mani, poiché essendo sua moglie sola in cucina, utilizzare le posate per anche tagliare il salame (io istituirei una fattispecie di reato per chi lo taglia con coltello e forchetta) fa consumare un numero pazzesco di posate che non hanno il tempo di lavare.

La partenza è con un’insalata di cappone alla “Stefani 1662” che ho trovato semplicemente stupenda, sicuramente la migliore che abbia mai mangiato e, comunque, la versione più aderente rispetto a quella originale, seppur, volendo essere fastidiosi, dovrebbe essere servita fredda, mentre, qui, in realtà, era tiepida.

A chi interessasse la ricetta originale, ma quella veramente originale, si trova, con il nome “Per far un’insalata di piedi di Capponi”, a pagina 219 de “L’Arte di ben cucinare, et Istruire i men periti in questa lodeuole Professione” di Bartolomeo Stefani.

Poiché volevo assaggiare due primi, ho chiesto due mezze porzioni che, purtroppo, o per fortuna, si sono rivelate essere porzioni piene: mezze lune ripiene di ricotta e farinelli e ravioli quadrati in brodo di magatello.

Anche qui, nulla da dire, perfetto lo spessore della pasta delle mezze lune, ripieno equilibrato, un piacere per il palato.

Ho apprezzato moltissimo il brodo di magatello con quella sua nota leggermente pepata, ma soprattutto mi è piaciuto il fatto che non fosse stato filtrato e, quindi, una volta tanto si vedevano galleggiare pezzettini di carne e pezzettini di verdura, come accadeva con il brodo della nonna.
Forse un pochino avanti di sale i ravioli, ma col brodo si bilanciavano benissimo.

Avrei voluto mangiare la coscia di anitra sotto grasso, tuttavia, Bassano, pur prendendo atto della mia stazza, ha fatto presente che sarebbe stata un pochino eccessiva e, quindi, ho virato sulle lumache.

Mi ha colpito molto il fatto che sul menù fosse specificato (prima volta che mi capita) che non fossero opercolate, ossia fossero prive della botola calcarea che la lumaca crea per ripararsi dal freddo inverno, nei mesi in cui è in letargo. Sapore ineccepibile anche se, a mio avviso, un pochino troppo cotte. Purè di patate, invece, leggermente sottotono.

Inconsueta la selezione di caffè, tutti rigorosamente fatti con la moka, che farebbe impallidire moltissimi locali pluristellati.
Ai limiti dell’illegale, per via della dipendenza che creano, i biscottini alla liquirizia, fatti dalla moglie, che accompagnano il caffè.

Ultima coccola, sul tavolo, il vaso di vetro delle “Pastiglie Leone” pieno di caramelle gommose.

Sui vini non posso dire molto, considerato che non mi ha portato la carta, ma, una volta inquadrato l’argomento, mi ha portato direttamente al tavolo quattro bottiglie tra cui scegliere. Il prezzo della bottiglia prescelta è stato scritto su un pizzino e mostrato con circospezione.
Poiché non ho finito la bottiglia, senza che chiedessi nulla, me l’ha preparata da portare a casa.

Tre portate, sui 50 euro.
Se si è nei dintorni, è certamente una tappa obbligatoria.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.