Villa Crespi *** – Orta San Giulio (NO)

Un piatto di spaghetti al pomodoro può dimostrare la fuffuosità di un tre stelle?

La risposta, non può che essere positiva in quanto, con il piatto in oggetto, o meglio, proprio con il piatto oggetto della foto, ho avuto l’ennesima conferma dell’intrinseca banalità della maggioranza delle tre stelle italiane.

Partiamo dal concetto.
Intermezzo: Evasioni di Gusto

Nel menù attuale a Villa Crespi, di cui tanto si parla a casaccio sui social solo per ottenere click (*), è previsto che, una volta terminata la parte salata, prima del pre dessert, ci sia un intermezzo denominato, appunto, “evasioni di gusto”.

Ovviamente non viene spiegato cosa sia e, quindi, bisogna attendere, in trepidante attesa, che arrivi la portata per aver dipanato il mistero.
Nel mio caso l’attesa è stata particolarmente lunga visto che ho dovuto attendere ben 30 minuti di orologio e si sono pure dimenticati le posate…

Tralasciando questi banali dettagli, quando arriva il piatto, con malcelato orgoglio, ti dicono che lo Chef, con un tocco di estro paragonabile al genio, ha voluto inserire questa portata come elemento di innovazione sia per via della sua collocazione all’interno del menù sia come ricordo della sua terra.

Sulla seconda parte del pensiero (per il momento) non ho nulla da dire, ma sulla prima, o quantomeno sul tanto declamato tocco di estro, ho qualche perplessità visto che, senza far troppo sforzo mnemonico, almeno 5 anni fa, Marco Ambrosino, al 28 posti di Milano, serviva uno spettacolare spaghetto freddo al limone non come intermezzo, ma direttamente come pre dessert.
Analogamente l’amico Alberto Gipponi (aka Gippo) da Dina propone dal 2020 (penso di aver assaggiato io il piatto di prova) uno spaghettino con sambuco, miele, aceto di miele, pepe Tellicherry e insalata ghiacciata e, infine, senza voler andare così lontani nel tempo, basta andare indietro di 6/7 mesi per trovare uno spaghetto mantecato al burro di genziana dell’ottimo Gianluca Gorini (clicca qui) che ancora pervade i miei sogni onanistico-gastronomici.

Arriviamo, quindi, alla prima parte del pensiero, ossia il ricordo delle sue terre e, come al solito, parto dal fondo dicendo che il sapore era oggettivamente molto molto buono.
Dal punto di vista del sapore, tuttavia, non mi sarei aspettato nulla di diverso in un tre stelle, sennò sarei andato a mangiare in un ristorante, vicino al canale Camuzzoni a Verona, dove anni fa facevano uno spaghetto al pomodoro con la pellecchia che era letteralmente da andar via di testa.

Il problema del piatto è stata la cottura della pasta: la pasta era, infatti, cotta alla maniera “italica” e non al dente come pretenderebbe la moda campana.

Questa cosa mi ha oggettivamente deluso perché da uno Chef cui la Michelin ha ritenuto di assegnare tre stelle, ossia «massimo riconoscimento, assegnato alla cucina superlativa di chef all’apice della loro professione; la loro cucina si è elevata a forma d’arte e alcuni dei loro piatti sono destinati a diventare classici», mi sarei aspettato di trovare la forza d’animo di osare nel fare un piatto, secondo tradizione, anche se inusuale (quantomeno in punto di cottura) ad un palato dalla vocazione internazionale: se questa forza non ce l’ha uno Chef all’apice della propria carriera, che, con le tre stelle appuntante sul petto, ha praticamente licenza di uccidere, come può farlo un giovane alle prime armi che cerca di esportare la propria esperienza gastronomica al di fuori dei confini della propria terra?

D’altra parte, in tutto il menù, dal nome evocativo “Mettici l’anima”, ho trovato tutti piatti tendenzialmente banali, visti e rivisti fatti per blandire tutti gli avventori che si trovano lì più per la rinomanza dello Chef e della location (compresa la bella placca rossa con i tre macaron) che per una vera e sana curiosità gastronomica.

Il pasto è trascorso nella più totale assenza di guizzi e, anche adesso, guardando le foto, faccio fatica a ricordare cosa abbia mangiato.
In peggio hanno spiccato le rane fritte (che io adoro) in quanto letteralmente uccise dalle erbette aromatiche, mentre, in meglio, ho adorato la fattura magistrale dei plin di anatra.

Ah, ultima nota di colore, la piccola pasticceria ho dovuto mangiarla senza caffè perché si sono dimenticati di portarmelo e, quindi, è arrivato quanto avevo ormai finito…

Per farsi perdonare (testuali parole), mi hanno regalato la colomba pasquale, nonostante fossimo praticamente a maggio.

Sic transit gloria mundi…

(*) In questi giorni gira sul web la foto di uno conto, per due persone, del ristorante di Villa Crespi, ripreso da alcuni siti del settore food, in cui si evidenzia un costo di € 525,00 a testa.
La notizia è, ovviamente, pubblicata in formato acchiappa click in quanto, accanto a circostanze vere, ossia un costo a testa del menù pari ad € 290,00, lascia intendere che sia obbligatorio il pairing dei vini e, così, si raggiungerebbe il famoso costo di € 525,00 pro capite.
Premesso che io sono stato a pranzo a Villa Crespi nello stesso periodo del pasto incriminato e ho assaggiato lo stesso menù, tale seconda parte di messaggio, è ovviamente inesatta atteso che non è assolutamente previsto un pairing obbligatorio di vini e, quindi, si può spendere anche molto meno, anche decidendo di non bere vino.
Per quanto la carta vini non mi abbia fatto impazzire e l’abbia trovata mediamente cara, è innegabile che, con un minimo di cultura, si possano trovare vini più che buoni a prezzi assolutamente ragionevoli e, pertanto, in due persone si può tranquillamente pranzare con una bottiglia a circa € 300,00 a testa.
Come penso si possa capire da quanto scritto, il mio pranzo non mi ha entusiasmato, ma bisogna dare a Cesare ciò che è di Cesare…

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